Per una nuova filosofia dell'immagine
L'uomo è l'unico essere vivente
che produce immagini. Non esiste in natura nessun organismo che ha la facoltà di riprodurre sia quel che
vede intorno a lui sia quello che
vede all'interno della sua mente. È una facoltà unica che tra l'altro non tutti
hanno e che nelle società umane viene appunto
paragonata ad un dono. Quante volte
abbiamo descritto una persona che disegna come colui che ha la fortuna di avere
il dono del disegno. Con
queste riflessioni inizio una
approfondita ricerca sulle immagini e in particolare su quelle digitali,
cercherò
di descrivere la loro struttura, la loro
forma, il loro contesto e soprattutto di analizzarle sotto una prospettiva epistemologica e ontologica. Il motivo che mi spinge ad un impegno così pesante è la consapevolezza che
in questi ultimi decenni, con l'affermarsi di una cultura digitale, la
produzione di diverse e soprattutto nuove tipologie di immagini da parte
dell'uomo si è evoluta in maniera esponenziale. Mi sembra di
fare una cosa utile nel cercare di catalogare e fare ordine in questo nuovo
paradigma visivo per diversi motivi.
Il primo motivo è un passione personale verso la filosofia e come
creatore di immagini penso di avere le
competenze adatte per analizzare e
capire la materia di cui sto trattando.
Il secondo motivo è che, uno studio epistemologico aggiornato e approfondito sulle immagini
disegnate non sia ancora stato scritto;
di conseguenza, credo sia fondamentale e utile tentare di scriverne uno per coloro che, come
me, creano, producono, commerciano immagini e
conoscere così la nuova situazione che si sta creando nel vasto mercato delle immagini.
Infine il terzo e
ultimo, molto importante, è che viviamo in una nuova tipologia di società, quella che molti già definiscono informazionale,
dove la merce principale è l'informazione. Dunque, conoscere a fondo le caratteristiche di questa preziosa
merce mi sembra un grande aiuto per
essere dei protagonisti e non solo dei
consumatori in questa nuova realtà sociale in cui ci
troviamo.
1.1
Prima di descrivere e
analizzare le varie tipologie di immagini digitali, mi sembra fondamentale
iniziare il nostro lungo viaggio nel definire in maniera approfondita l'oggetto
della nostra ricerca: l'immagine.
Sotto l'aspetto ontologico, l'immagine la possiamo
collocare tra i vari manufatti dell'uomo. È un oggetto che chiaramente non nasce in natura, ma ha una sua fisicità e presenza tra
gli oggetti fisici e di conseguenza la possiamo catalogare tra i manufatti, cioè la sua esistenza
dipende dalla facoltà umana di creare oggetti. È il prodotto di una rappresentazione,
cioè di un pensiero. Il
termine rappresentazione è qui considerato sotto
un aspetto epistemologico, tra
l'altro descritto in maniera precisa da M.
Ferraris nel suo eccezionale saggio "Perché è necessario
lasciare tracce". Ferraris
scrive:
"...
avere rappresentazioni è la condizione dell'agire e del pensare, che sono le
caratteristiche generalmente attribuite ai soggetti. Ogni agire è in vista di
qualche cosa, cioè presuppone di rappresentarsi un obiettivo; ma la rappresentazione sta alla base del
pensiero, e del fatto di possedere dei sentimenti, delle speranze e delle
sofferenze, tutte caratteristiche degli uomini (e in parte di certi animali) e
non delle cose. Il pensiero, infatti, è sempre pensiero di qualche cosa: un qualcosa che possiede,
nella mente di chi pensa, quello che i filosofi chiamano <in-esistenza intenzionale>, ossia che, in parole povere,
esiste come rappresentazione. E così pure il
desiderio o il timore, l'amore o l'odio, e insomma tutta la gamma dei
sentimenti hanno bisogno di immagini..."
e subito dopo ne trae
la conclusione:
".... Una conseguenza cruciale del possedere
rappresentazioni è che tra due soggetti è possibile reciprocità, diversamente che tra due oggetti o tra un soggetto e un
oggetto...."
Dunque le immagini
funzionano per questa grande proprietà che ha l'uomo: il riuscire a oggettivare delle rappresentazioni
che a loro volta creano reciprocità con altri soggetti simili.
Infatti una immagine
creata dall'uomo funziona solo tra gli uomini.
La Monnalisa di
Leonardo di fronte ad un gatto non provoca nessuna reazione, figuriamoci di
fronte ad una rosa o ad un insetto.
Le immagini
sono rappresentazioni della nostra mente che prendono l'aspetto di
oggetti fisici, ma con caratteristiche alquanto particolari. Sono dunque
oggetti fisici ma sono riconosciuti solo dagli uomini, sono oggetti che
Ferraris classifica come oggetti sociali e che colloca nella
sfera epistemologica degli oggetti.
1.2
Sfera ontologica ed
epistemologica.
Sempre seguendo la
descrizione di Ferraris, e individuato a quale categoria di oggetti si possono
collocare le immagini, si presenta un'altra domanda: in quale sfera filosofica
collocare un'immagine disegnata. E proprio in questa scelta affiora la natura
ambivalente delle immagini. Se come oggetto fisico è indubbiamente
collocabile nel recinto ontologico, come oggetto sociale rientra con la stessa misura
nella sfera
epistemologica. Dunque la conclusione è che c'è da separare le immagini percepite dalle immagini create.
Percepire una immagine è un fatto fisico. Mentre cammino e svoltando un angolo mi
imbatto in un enorme manifesto con immagine, non posso far altro che vederlo al
momento. È
un'azione fisica dei miei occhi e di tutto l'apparato visivo, la mia coscienza,
la mia intenzionalità non è coinvolta. Ma se io decido di creare quella immagine per una
agenzia pubblicitaria, è chiaro che è una elaborazione della mia mente, una esecuzione di una mia
rappresentazione e dunque una esperienza.
Seguendo sempre lo
stesso esempio, posso ancora dedurre un altra curiosa caratteristica: la
differenza epistemologica tra informazione testuale e visiva. Mi spiego meglio.
Se voltando l'angolo mi trovo improvvisamente un manifesto scritto, per
percepirlo dovrò
attivare la mia coscienza e quel meccanismo di decodifica (la lettura) dei
segni (la scrittura). Dunque attivo una funzione epistemologica.
Se invece mi trovo di fronte una immagine, la
percezione visiva è
immediata, non ha bisogno di nessun mezzo conoscitivo. Il vedere una immagine è una lettura diretta, è un evento fisico per il nostro cervello, e
si può descrivere come un
fatto ontologico; leggere al contrario necessita di esperienza, di conoscenza e
dunque rientra pienamente nella sfera epistemologica.
Il fatto centrale è quando una immagine
percepita e dunque trasformata in traccia nella nostra memoria diventa poi una
elaborazione mentale e portata all'esterno come immagine creata. In questo caso
un oggetto ontologico viene trasformato in oggetto sociale e dunque in un
fatto epistemologico, ma nel momento in
cui si fissa su un supporto fisico rientra nella sfera degli oggetti fisici e
dunque di nuovo in un ambito ontologico. In parole povere, una traccia nella
memoria personale è
un fatto epistemologico che prendendo corpo e fisicità entra nel campo degli
oggetti fisici e in particolare in quella grande categoria che Ferraris
descrive come oggetti sociali.
1.3
Gli oggetti sociali
"...di certo una società, per esistere,
deve comunicare; ma l'atto di comunicare, da solo, non basta, anzi, si rivela
come una funzione subordinata a qualche
cosa di più essenziale,ossia la registrazione."
Così inizia la la
riflessione e l'analisi di Ferraris che porta all'individuazione degli oggetti
sociali e all'importanza delle tracce.
Portando in profondità le riflessioni di
Deridda, arriva alla individuazione di un particolare oggetto, con
caratteristiche completamente diverse degli oggetti che esistono in natura, e
cioè l'oggetto sociale.
Scrive Ferraris nella sua introduzione del
libro "Perchè è necessario lasciare tracce" .
".....oggetti sociali, cioè di cose come i soldi e le opere d'arte, i matrimoni, i divorzi
e gli affidi congiunti, gli anni di galera e i mutui, il costo del petrolio e i
codici fiscali, il Tribunale di Norimberga e l'Accademia delle Scienze di
Stoccolma....ecc. Questi oggetti affollano il nostro mondo più dei sassi,
degli alberi e delle noci di cocco... Solo allora capiamo che gli oggetti
sociali sono fatti di iscrizioni, su carta, su un qualche supporto magnetico,
magari anche soltanto (per esempio, nelle promesse che ci facciamo a vicenda
tutti i giorni) nella testa delle persone.
Ecco il motivo per cui ho intitolato questa teoria del mondo
sociale documentalità: l'ontologia degli oggetti sociali è fatta di
tracce, di documenti, di registrazioni....
Lasciare tracce diventa
dunque un pilastro per la formazione e
per l'esistenza della società umana. Lo studio
ontologico delle tracce e della
documentalità
diventa un passaggio fondamentale per capire la nostra realtà.
L'analisi della
documentalità
che Ferraris, Deridda, e anche Roncaglia hanno compiuto nelle loro opere è sopratutto indirizzata
sul testo, sulle tracce scritte. Infatti Ferraris scrive ancora ...."Tutto è per sempre. Oggi tutto è scritto, tutto si può ritrovare. L'esplosione della scrittura svela l'essenza del
legame sociale, la documentalità. Perché è necessario
lasciare tracce: altrimenti non ci sarà niente nessuno in nessun luogo mai."
Ma la mia modesta critica nei loro confronti è che le tracce non sono necessariamente scrittura,
anzi credo che si possono distinguere diversi tipi di tracce, testuale, visiva
e sonora, e che nelle maggioranza dei
casi sia proprio quella visiva che
detiene il primato. La testualità è
certamente la base della documentalità ma quello su cui invece
vorrei riflettere e spostare l'attenzione è sulla traccia visiva. Le analisi che si stanno facendo in questi ultimi tempi
mi sembrano troppo sbilanciate verso la
testualità.
È vero che la
documentalità
è nella maggioranza dei
casi scritta, ma all'interno della famosa archi
scrittura, la traccia visiva ha un aspetto fondamentale e forse
preponderante.
1.4
Critica alla testualità
In effetti Ferraris
sviluppando lo studio sugli oggetti sociali e seguendo la testualità come base e filo
conduttore, arriva alla conclusione ovvia che le opere d'arte siano inutili.
Infatti nel suo libro già citato sopra, porta alle
estreme conseguenze il suo discorso:
".... Le opere non rispondono prioritariamente a esigenze
pratiche, bensì (nella nostra cultura, che anche da questo punto di vista non è affatto
universale) a valori di puro prestigio, o di intrattenimento, o di formazione
disinteressata - tutta una sfera che ho cercato di designare altrove con la
metafora della << fidanzata
automatica >>, intendendo che i
rapporti che stabiliamo con le opere sono assimilabili a quelli che
intratteniamo con le persone.
Credo che il modo migliore per caratterizzare la differenza tra
i documenti di cui abbiamo parlato prima (documenti scritti) e quelli di cui
parleremo adesso (le opere) è osservare che i primi servono per il negotium, i secondi per
l'otium. Per quanto grandi possono essere i vantaggi che derivano dal possedere
una educazione estetica, per ampio che possa essere il giro d'affari del
mercato dell'arte, o dei film, dei concerti rock e dei best-seller letterari,
resta che l'ambito a cui si riferiscono è quello della ricreazione, e appare del tutto diverso da quello
che ci si attende da trattati internazionali, patenti, assegni, scontrini del
supermercato e ricevute del parchimetro. L'opera costituisce, per così dire, il
vertice futile della piramide documentale....."
È
su questo punto che nasce fortemente la mia critica e che vorrebbe chiarire un
grosso equivoco che porta alle conclusioni radicali di Ferraris. Le tracce
visive non sono solo opere estetiche, ma informazioni a tutti gli effetti. Far
coincidere le immagini con le opere mi sembra abbastanza limitante. Le immagini
che ci arrivano dal passato non ci danno solo un piacere estetico ma ci
comunicano informazioni preziose. Quando Giotto dipinge il ciclo di affreschi
ad Assisi non lo fa solamente per un piacere estetico, per l'otium, ma per
informare con immagini la documentalità dei testi scritti religiosi che il popolo analfabeta non poteva
leggere e dunque per il negotium. In questo caso le immagini hanno sostituito
il testo ma hanno la stessa importanza di una traccia scritta, presentandosi
con la stessa autorità di un documento.
Quello che vorrei
sottolineare è
che non esistono solo immagini disegnate per una fruizione estetica, ma
esistono un universo di immagini che hanno lo stesso peso di un documento
scritto.
È
grazie ad immagini disegnate che possiamo comprendere cosa sia un buco nero
nell'universo, è
grazie alle immagini disegnate che possiamo costruire un mobile dell'Ikea, è grazie alle immagini
di un abbecedario che impariamo a leggere l'alfabeto. Non sono opere estetiche
ma illustrazioni. Le illustrazioni sono un alfabeto universale con la stessa
potenza delle tracce scritte. In generale tutte le immagini registrate su un
supporto hanno la stessa documentalità delle tracce scritte. Pensate
alle recenti esplorazioni del rover su Marte. Non sarebbero così esplicative senza le
immagini. Infatti l'entusiasmo per la riuscita dell'operazione è coincisa con l'arrivo
delle prime immagini da parte del robot. Se al posto delle immagini fosse
giunto un fax scritto non credo che l'autorità documentale sarebbe stata la stessa.
1.5
Ontologia
dell'illustrazione
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