Per una nuova filosofia dell'immagine
L'uomo
è l'unico essere vivente
che produce immagini. Non esiste in natura nessun organismo che ha la facoltà di riprodurre sia quel che
vede intorno a lui sia quello che
vede all'interno della sua mente. È una facoltà unica che tra l'altro non tutti
hanno e che nelle società umane viene appunto
paragonata ad un dono. Quante volte
abbiamo descritto una persona che disegna come colui che ha la fortuna di avere
il dono del disegno. Con
queste riflessioni inizio una
approfondita ricerca sulle immagini e in particolare su quelle digitali,
cercherò
di descrivere la loro struttura, la loro
forma, il loro contesto e soprattutto di analizzarle sotto una prospettiva epistemologica e ontologica. Il motivo che mi spinge ad un impegno così pesante è la consapevolezza che
in questi ultimi decenni, con l'affermarsi di una cultura digitale, la
produzione di diverse e soprattutto nuove tipologie di immagini da parte
dell'uomo si è evoluta in maniera esponenziale. Mi sembra di
fare una cosa utile nel cercare di catalogare e fare ordine in questo nuovo
paradigma visivo per diversi motivi.
Il primo motivo è un passione personale sia verso la filosofia che per le immagini disegnate e come
illustratore penso di avere le competenze adatte per capire la natura di
quest'ultime.
Il
secondo motivo è
che, uno studio epistemologico aggiornato e approfondito sulle immagini
disegnate non sia ancora stato scritto;
di conseguenza, credo sia fondamentale e utile tentare di scriverne uno per tutti coloro
che, come me, le creano, le producono e le commerciano, aiutando così a conoscere la nuova
situazione che si sta creando nel vasto
mercato delle immagini.
Infine
il terzo e ultimo, non meno importante, è che viviamo in una nuova tipologia di società, quella che molti già definiscono informazionale,
dove la merce principale è l'informazione, anche se M. Ferraris giustamente la considera
più una società della registrazione.
Dunque, conoscere a fondo le
caratteristiche di questa preziosa merce
mi sembra un grande aiuto per diventare
dei protagonisti e non solo dei
consumatori in questa nuova realtà sociale in cui ci
troviamo.
1.1
Prima
di descrivere e analizzare le varie tipologie di immagini digitali, mi sembra
fondamentale iniziare il nostro lungo viaggio nel definire in maniera
approfondita l'oggetto della nostra ricerca: l'immagine.
Sotto
l'aspetto ontologico, l'immagine la
possiamo collocare tra i vari manufatti dell'uomo. È un oggetto che
chiaramente non nasce in natura, ma ha una sua fisicità e presenza tra
gli oggetti fisici e di conseguenza la possiamo catalogare tra i manufatti, cioè la sua esistenza
dipende dalla facoltà umana di creare oggetti. È il prodotto di una rappresentazione,
cioè di un pensiero. Il
termine rappresentazione è qui considerato sotto
un aspetto epistemologico, tra
l'altro descritto in maniera precisa da M.
Ferraris nel suo eccezionale saggio "Perché è necessario
lasciare tracce". Ferraris
scrive:
"...
avere rappresentazioni è la condizione dell'agire e del pensare, che sono le
caratteristiche generalmente attribuite ai soggetti. Ogni agire è in vista di
qualche cosa, cioè presuppone di rappresentarsi un obiettivo; ma la rappresentazione sta alla base del
pensiero, e del fatto di possedere dei sentimenti, delle speranze e delle
sofferenze, tutte caratteristiche degli uomini (e in parte di certi animali) e
non delle cose. Il pensiero, infatti, è sempre pensiero di qualche cosa: un qualcosa che possiede,
nella mente di chi pensa, quello che i filosofi chiamano <in-esistenza intenzionale>, ossia che, in parole povere,
esiste come rappresentazione. E così pure il
desiderio o il timore, l'amore o l'odio, e insomma tutta la gamma dei
sentimenti hanno bisogno di immagini..."
e
subito dopo ne trae la conclusione:
".... Una conseguenza cruciale del possedere
rappresentazioni è che tra due soggetti è possibile reciprocità, diversamente che tra due oggetti o tra un soggetto e un
oggetto...."
Dunque
le immagini funzionano per questa grande proprietà che ha l'uomo: il riuscire a oggettivare delle rappresentazioni
che a loro volta creano reciprocità con altri soggetti simili.
Infatti
una immagine creata dall'uomo funziona solo tra gli uomini.
La
Monnalisa di Leonardo di fronte ad un gatto non provoca nessuna reazione,
figuriamoci di fronte ad una rosa o ad un insetto.
Le immagini
sono rappresentazioni della nostra mente che prendono l'aspetto di
oggetti fisici, ma con caratteristiche alquanto particolari. Sono dunque
oggetti fisici ma sono riconosciuti solo dagli uomini, sono oggetti che
Ferraris classifica come oggetti sociali e che colloca nella
sfera epistemologica degli oggetti.
1.2
Sfera
ontologica ed epistemologica.
Sempre
seguendo la descrizione di Ferraris, e individuato a quale categoria di oggetti
si possono collocare le immagini, si presenta un'altra domanda: in quale sfera
filosofica collocare un'immagine disegnata. E proprio in questa scelta affiora
la natura ambivalente delle immagini. Se come oggetto fisico è indubbiamente
collocabile nel recinto ontologico, come oggetto sociale rientra con la stessa misura
nella
sfera epistemologica. Dunque la conclusione è che c'è da separare le immagini percepite dalle immagini create.
Percepire una immagine è un fatto fisico. Mentre cammino e svoltando un angolo mi
imbatto in un enorme manifesto con immagine, non posso far altro che vederlo al
momento. È
un'azione fisica dei miei occhi e di tutto l'apparato visivo, la mia coscienza,
la mia intenzionalità non è coinvolta. Ma se io decido di creare quella immagine per una
agenzia pubblicitaria, è chiaro che è una elaborazione della mia mente, una esecuzione di una mia
rappresentazione e dunque una esperienza.
Seguendo
sempre lo stesso esempio, posso ancora dedurre un altra curiosa caratteristica:
la differenza epistemologica tra informazione testuale e visiva. Mi spiego
meglio. Se voltando l'angolo mi trovo improvvisamente un manifesto scritto, per
percepirlo dovrò
attivare la mia coscienza e quel meccanismo di decodifica (la lettura) dei
segni (la scrittura). Dunque attivo una funzione epistemologica.
Se invece mi trovo di fronte una immagine, la
percezione visiva è
immediata, non ha bisogno di nessun mezzo conoscitivo. Il vedere una immagine è una lettura diretta, è un evento fisico per il nostro cervello, e
si può descrivere come un
fatto ontologico; leggere al contrario necessita di esperienza, di conoscenza e
dunque rientra pienamente nella sfera epistemologica.
Il
fatto centrale è
quando una immagine percepita e dunque trasformata in traccia nella nostra
memoria diventa poi una elaborazione mentale e portata all'esterno come
immagine creata. In questo caso un oggetto ontologico viene trasformato in
oggetto sociale e dunque in un fatto
epistemologico, ma nel momento in cui si fissa su un supporto fisico
rientra nella sfera degli oggetti fisici e dunque di nuovo in un ambito
ontologico. In parole povere, una traccia nella memoria personale è un fatto
epistemologico che prendendo corpo e fisicità entra nel campo degli oggetti fisici e in particolare in quella
grande categoria che Ferraris descrive come oggetti sociali.
1.3
Gli
oggetti sociali
"...di certo una società, per esistere,
deve comunicare; ma l'atto di comunicare, da solo, non basta, anzi, si rivela
come una funzione subordinata a qualche
cosa di più essenziale,ossia la registrazione."
Così inizia la la
riflessione e l'analisi di Ferraris che porta all'individuazione degli oggetti
sociali e all'importanza delle tracce.
Portando
in profondità
le riflessioni di Deridda, arriva alla individuazione di un particolare
oggetto, con caratteristiche completamente diverse degli oggetti che esistono
in natura, e cioè
l'oggetto sociale.
Scrive Ferraris nella sua introduzione del
libro "Perchè è necessario lasciare tracce" .
".....oggetti sociali, cioè di cose come i soldi e le opere d'arte, i matrimoni, i divorzi
e gli affidi congiunti, gli anni di galera e i mutui, il costo del petrolio e i
codici fiscali, il Tribunale di Norimberga e l'Accademia delle Scienze di
Stoccolma....ecc. Questi oggetti affollano il nostro mondo più dei sassi,
degli alberi e delle noci di cocco... Solo allora capiamo che gli oggetti
sociali sono fatti di iscrizioni, su carta, su un qualche supporto magnetico,
magari anche soltanto (per esempio, nelle promesse che ci facciamo a vicenda
tutti i giorni) nella testa delle persone.
Ecco il motivo per cui ho intitolato questa teoria del mondo
sociale documentalità: l'ontologia degli oggetti sociali è fatta di
tracce, di documenti, di registrazioni....
Lasciare
tracce diventa dunque un pilastro per la
formazione e per l'esistenza della
società
umana. Lo studio ontologico delle tracce
e della documentalità diventa un passaggio fondamentale per capire la nostra realtà.
L'analisi
della documentalità
che Ferraris, Deridda, e anche Roncaglia hanno compiuto nelle loro opere è sopratutto indirizzata
sul testo, sulle tracce scritte. Infatti Ferraris scrive ancora ...."Tutto è per sempre. Oggi tutto è scritto, tutto si può ritrovare. L'esplosione della scrittura svela l'essenza del legame
sociale, la documentalità. Perché è necessario
lasciare tracce: altrimenti non ci sarà niente nessuno in nessun luogo mai."
Ma la mia modesta critica nei loro confronti è che le tracce non sono necessariamente scrittura,
anzi credo che si possono distinguere diversi tipi di tracce, testuale, visiva
e sonora, e che nelle maggioranza dei
casi sia proprio quella visiva che
detiene il primato. La testualità è
certamente la base della documentalità ma quello su cui invece
vorrei riflettere e spostare l'attenzione è sulla traccia visiva. Le analisi che si stanno facendo in questi ultimi tempi
mi sembrano troppo sbilanciate verso la testualità. È vero che la
documentalità
è nella maggioranza dei
casi scritta, ma all'interno della famosa archi
scrittura, la traccia visiva ha un aspetto fondamentale e forse
preponderante.
1.4
Critica
alla testualità
In
effetti Ferraris sviluppando lo studio sugli oggetti sociali e seguendo la
testualità
come base e filo conduttore, arriva alla conclusione ovvia che le opere d'arte
siano inutili. Infatti nel suo libro già citato sopra, porta alle
estreme conseguenze il suo discorso:
".... Le opere non rispondono prioritariamente a esigenze
pratiche, bensì (nella nostra cultura, che anche da questo punto di vista non è affatto
universale) a valori di puro prestigio, o di intrattenimento, o di formazione
disinteressata - tutta una sfera che ho cercato di designare altrove con la
metafora della << fidanzata
automatica >>, intendendo che i
rapporti che stabiliamo con le opere sono assimilabili a quelli che
intratteniamo con le persone.
Credo che il modo migliore per caratterizzare la differenza tra
i documenti di cui abbiamo parlato prima (documenti scritti) e quelli di cui
parleremo adesso (le opere) è osservare che i primi servono per il negotium, i secondi per
l'otium. Per quanto grandi possono essere i vantaggi che derivano dal possedere
una educazione estetica, per ampio che possa essere il giro d'affari del
mercato dell'arte, o dei film, dei concerti rock e dei best-seller letterari,
resta che l'ambito a cui si riferiscono è quello della ricreazione, e appare del tutto diverso da quello
che ci si attende da trattati internazionali, patenti, assegni, scontrini del
supermercato e ricevute del parchimetro. L'opera costituisce, per così dire, il
vertice futile della piramide documentale....."
È su questo punto che nasce fortemente la mia critica e che
vorrebbe chiarire un grosso equivoco che porta alle conclusioni radicali di
Ferraris. Le tracce visive non sono solo opere estetiche, ma informazioni a
tutti gli effetti. Far coincidere le immagini con le opere mi sembra abbastanza
limitante. Le immagini che ci arrivano dal passato non ci danno solo un piacere
estetico ma ci comunicano informazioni preziose. Quando Giotto dipinge il ciclo
di affreschi ad Assisi non lo fa solamente per un piacere estetico, per
l'otium, ma per informare con immagini la documentalità dei testi scritti
religiosi che il popolo analfabeta non poteva leggere e dunque per il negotium.
In questo caso le immagini hanno sostituito il testo ma hanno la stessa
importanza di una traccia scritta, presentandosi con la stessa autorità di un documento.
Quello
che vorrei sottolineare è che non esistono solo immagini disegnate per una fruizione
estetica, ma esistono un universo di immagini che hanno lo stesso peso di un
documento scritto.
È grazie ad immagini disegnate che possiamo comprendere cosa sia
un buco nero nell'universo, è grazie alle immagini disegnate che possiamo costruire un mobile
dell'Ikea, è
grazie alle immagini di un abbecedario che impariamo a leggere l'alfabeto. Non
sono opere estetiche ma illustrazioni. Le illustrazioni sono un alfabeto
universale con la stessa potenza delle tracce scritte. In generale tutte le
immagini registrate su un supporto hanno la stessa documentalità delle tracce scritte.
Pensate alle recenti esplorazioni del
rover su Marte. Non sarebbero così esplicative senza le immagini. Infatti l'entusiasmo per la
riuscita dell'operazione è coincisa con l'arrivo delle prime immagini da parte del robot.
Se al posto delle immagini fosse giunto un fax scritto non credo che l'autorità documentale sarebbe
stata la stessa.
1.5
Ontologia
dell'illustrazione
Per
descrivere una ontologia dell'illustrazione, mi appoggio e mi faccio aiutare ancora
sul lavoro di Ferraris, egli scrive: "....Il pensiero è molto spesso caratterizzato come visione, e di questa
caratterizzazione sono testimoni gli usi linguistici : idea e sapere, in greco,
hanno la stessa origine di vedere, e in moltissime lingue "vedo" e
"capisco" sono sinonimi. E tutto il dibattito sul ruolo della visione
e della immaginazione nel pensiero, dai filosofi greci alle neuro scienze
contemporanee, si basa sulla contrapposizione tra funzioni del pensiero di tipo
linguistico (discorsive), e altre di tipo non linguistico, intuitive,
immaginative, o grafiche..." e aggiunge ancora "....Aristotele a
ragione diceva che l'anima non pensa mai senza immagini, e che pensare è come disegnare
una figura, cioè registrare e iscrivere, d'accordo con una linea di pensiero che
si ritrova negli antichi come nei moderni. Infatti non si tratta solo del
pensare per immagini, bensì di adoperare
consapevolmente immagini e schemi per facilitare il pensiero. I neuroni della
lettura, in questo eccezione, sono i neuroni del pensiero, non nel senso che
solo gli alfabetizzati pensino, ma perché quei neuroni sono predisposti a riconoscere i grafi.... Quello
che è certo,
tuttavia, è che, in tutti i casi, non ci può essere pensiero senza registrazione, senza deposito sulla
tabula della memoria."
Il
passo successivo a questa analisi è dunque una ontologia della registrazione che Ferraris individua
con una intuizione magnifica nella traccia.
È nello studio delle tracce sia interne, nella memoria, e
soprattutto quelle esterne fuori di noi che la cosa diventa interessante per
noi illustratori.
"La traccia è l'elemento di base dell'opera così come di
qualunque iscrizione. C'è una traccia fuori, nel mondo, la modificazione di una
superficie..." e ancora aggiunge "... Ovviamente, la traccia è condizione
necessaria ma non sufficiente dell'opera (anzi, la quasi totalità delle tracce
non lo è); tuttavia, non
c'è opera senza
traccia: quadri, libri, sinfonie, canzonette, performance, film, soap
opera...nessuna di queste realizzazioni sarebbe concepibile se non ci fosse la
possibilità di iscrivere qualche cosa, fosse pure semplicemente nella mente
delle persone..." e infine arriva ad una descrizione ontologica dell'opera in cinque punti.
1) l'opera è anzitutto una cosa, cioè possiede delle ben definite caratteristiche di dimensione
fisica, durata temporale, percepibilità sensoriale.
2)
Le opere sono oggetti fisici.
Ma
su questo punto c'è da fare chiarezza
sopratutto per le opere digitali. Con la scomparsa delle opere materiche e di
fatto dell'originale la questione va ripensata e questo lo rimando ai capitoli più avanti dove affronto
appunto il problema degli originali nell'ambito del digitale.
3)
le opere sono oggetti sociali.
4)
ed è il punto più interessante e
discutibile:
..." le
opere provocano solo accidentalmente conoscenza..."
Anche
qui non sono pienamente d'accordo. Tutto le opere dell'illustratore sono concepite per
provocare conoscenza. La parola stessa "illustrare" significa far
conoscere attraverso le immagini. L'aspetto significativo
dell'illustrazione è che siamo di fronte ad
una creazione ambivalente, con una sua
caratteristica estetica ma anche con un
fine che vuole provocare conoscenza attraverso l'opera. E questo obbiettivo non
è accidentale ma
principale. Ferraris prosegue ":
.... È vero che ci sono forme d'arte (per esempio, la narrativa o la
ritrattistica) che possono avere una portata conoscitiva, ed è vero che ci
sono civiltà di cui ci restano dunque l'unica conoscenza che ne abbiamo. Ma
questo non significa in alcun modo che la funzione prioritaria dell'arte sia
conoscenza. Imparare qualche cosa sull'Irlanda da Joyce è possibile ma è più economico ed
efficace comprarsi una guida o un saggio..."
Ma
anche in questo caso l'equivoco opere=immagini porta ad un paradosso. Perchè lo stesso ragionamento
lo potrei fare al contrario: il funzionamento e la struttura di una trireme romana la potrei comprendere
leggendo una decina di pagine scritte ma è molto meglio vedere una illustrazione con uno spaccato della
nave per capire in un attimo la sua configurazione. Dunque siamo ancora di
fronte al confronto testo~immagine.
1.6
Documentalità
dell'illustrazione
Io
penso che la documentalità non è dunque solo esclusivamente scritta ma può essere anche visiva. E
le immagini non sono solo opere, ma possono essere informazioni visive quanto
un testo scritto. Anzi credo che proprio
l'invenzione dell'alfabeto sia stata un idea per correggere un difetto: il difetto delle
maggioranza delle persone che non sanno creare immagini. L'invenzione dei grafi
è stata anche una scorciatoia per lasciare tracce semplici
alla portata di tutti, che non richiedono caratteristiche ipertrofiche della
corteccia celebrale che in fin dei conti
è
la causa che permette ad un individuo di
creare immagini.
Per
concludere la riflessione ontologica sulle illustrazioni e stabilire la loro
caratteristica si potrebbero definire come un oggetto sociale, che hanno una
documentalità
completa e che a differenze delle opere sono tracce non per l'otium ma a tutti
gli effetti per il negotium. La loro collocazione è tra il documento e
l'opera. Hanno la stessa autorità di un testo e le caratteristiche espressive di un opera.
Nelle
sue tesi Ferraris conclude con postulati ben precisi:
La società si basa non sulla comunicazione, ma sulla registrazione. Poichè nulla di
sociale esiste fuori del testo, le carte, gli archivi e i documenti
costituiscono l'elemento fondamentale del mondo sociale.
.....questo spiega perchè sia così importante la scrittura, ossia la sfera di registrazioni che
precede e circonda la scrittura in senso
proprio e corrente.
E
ancora:
I documenti in senso forte sono iscrizioni di atti. Sotto il
profilo di una teoria della società , l'ontologia degli oggetti sociali si presenta come documentalità, ossia la
dottrina dei documenti in quanto forma più elevata degli oggetti sociali, che si dividono in documenti in
senso forte, come iscrizioni di atti, e in documenti in senso debole, come
registrazioni di fatti. I documenti hanno finalità pratiche,
oppure mirano principalmente alla evocazione di sentimenti. In questo caso
abbiamo a che fare con le opere d'arte intese come cose che fingono di essere
persone.
A
queste tesi aggiungerei la caratteristica delle illustrazioni. Sono opere con
caratteristiche estetiche e con finalità pratiche e che nello stesso tempo possono evocare anche
sentimenti. In alcuni casi si possono considerare documenti forti. Se una
vignetta satirica con Maometto
come soggetto, stampata su una maglietta e ripresa in televisione, ha
scatenato reazioni violente e tensioni diplomatiche, se la svastica o altre
immagini simili creano repulsione e
reazione alla loro visione, e ancora, se
una vignetta satirica di Vauro provoca a sua volta atti scritti di documentalitá forte come denunce di
diffamazione e atti giudiziari
conseguenti, forse è una prova della loro forte documentalità.
Ma
anche altre immagini, non solo disegnate, hanno una forte documentalità. La prova
dell'esistenza del bosone di Higgs, la cosiddetta particelle di Dio, scoperta
nell'anello del CERN, è stata data grazie ad una
traccia visiva. La prova ontologica di questa particella non è stata dunque confermata da una documentalità scritta come lo erano
le equazioni matematiche che accertavano la sua presenza, ma da una prova
visiva. In questo caso è un immagine ad avere il primato di documentalità forte, non uno
scritto. Illustrazioni, fotografie, tracce visive, fanno parte tutte quante di
una stessa tipologia di tracce che sono le immagini e che sono da considerare
come documenti forti e non opere
estetiche. Semmai oltre alla loro documentalità a differenza del testo in alcuni casi possono avere anche un aspetto estetico, ma questo non vuol
dire relegarle nel recinto delle opere.
2.1
Le
tracce dell'illustrazione
Se
l'individuazione della traccia è il punto di partenza
dell'analisi Ferrarista ( o Ferrariana?) che porta all'individuazione degli
oggetti sociali e di conseguenza alle opere e alla documentalità sociale, provo a
sviluppare l'analisi sulle immagini digitali partendo appunto dalla sua
intuizione, egli scrive: ...."Traccia
è ogni forma di
modificazione di una superficie che vale come segno o come promemoria per una
mente capace di apprenderla come tale." e ancora ".... Se
dunque c'è un in sé o una essenza indipendente dall'oggetto fisico, questo non vale
per una traccia, che esiste come traccia solo, perché c'è qualcuno che la
considera come tale... In altri termini, essere una traccia è una
caratteristica relazionale di un'entità naturale."
E
nella descrizione delle opere conclude che ".... La traccia è l'elemento di base dell'opera così come di
qualunque iscrizione. C'è una traccia
fuori, nel mondo, la modificazione di una superficie"
La
modificazione di una superficie!... ecco
la prima novità
che incontriamo nell'analisi delle immagini digitali e in particolare
dell'illustrazione digitale.
Il
famoso "supporto" su cui lasciare la traccia visiva, dopo millenni di
"matericità"
cambia natura: diventa numerica, immateriale. In pratica si spoglia della
caratteristica di entità naturale e rimane solo quella relazionale.
Questo
che significa? Significa che cambiando
l'aspetto della superficie di conseguenza cambia anche la natura della traccia.
Fino ad oggi ogni tipo di tracce ha
avuto una comune caratteristica indipendentemente dalla loro natura
fisica: la loro inamovibilità.
Una
volta che hai lasciato una traccia e cambiato una superficie, non è possibile cambiarla se
non modificando di nuovo la superficie stessa che la ospita.
L'
inamovibilitá
è in definitiva, il rapporto tra la dimensione temporale e la
traccia fisica e che definisce il
"peso" della sua documentalitá.
Una
traccia che modifica una superficie per poco tempo è effimera e
superficiale. Al contrario una traccia che rimane nei secoli ha una
documentalitá
pesante.
Per concludere, il concetto di traccia fino ad
ora coincideva con la modificazione di una superficie fisica, ed è proprio questa
caratteristica che la rivoluzione digitale sta cambiando. Un foglio bianco
sporcato con dei pigmenti prende l'identità di traccia, questo significa che una superficie bianca e
intonsa, modificata con tracce di colore si trasforma in immagine, in un
oggetto sociale. Oggi, con la realtà digitale, questo paradigma viene annullato. La traccia visiva
d'ora in avanti, non è più
ancorata al suo supporto materico ma è di fatto tradotta in un algoritmo matematico, riproducibile in
ogni momento su supporti digitali sostituibili nel tempo e dunque non più deperibile. Ora,
l'immagine disancorata dal suo supporto
diventa eterna perché un algoritmo matematico non deperisce, avrà lo stesso tempo di
esistenza delle entità relazionali e dunque
finché
ci saranno individui che lo sapranno leggere. È
una vecchia questione filosofica:
l'esistenza dell'universo esiste grazie all'esistenza dell'umanità
che la può comprendere? A questa domanda
ci sono centinaia di testi con risposte diverse, e questa non è
certo la sede giusta per approfondirle, quello che invece si può
dedurre dalla nostra riflessione è
che il primo risultato ottenuto è
l'individuazione e la descrizione di una
nuova forma di traccia: l'immagine digitale.
La
superficie digitale
Eccoci
giunti ad esaminare un tipo di superficie su cui lasciare le tracce e che mai è
apparsa di fronte all'uomo: una superficie digitale.
Come
vedremo fra poco le differenze sono enormi. Cercherò
di confrontare le superfici tradizionali con quelle digitali per scoprire così
gli aspetti negativi e poi quelli positivi. La prima grande differenza tra le
prime e le seconde è la loro
accessibilità. Cosa significa? Significa
che a differenza di tutte le tracce precedenti, la superficie digitale che
ospita una immagine digitale, per vederla e dunque percepirla, ha bisogno
naturalmente di uno strumento digitale,
cioè
non più una superficie naturale
per la cui lettura era sufficiente
avere una fonte luminosa, ma un
manufatto umano (computer, tablet, monitor, ecc.) altamente complesso e che per poterlo utilizzare ha bisogno, sia di un'azione di avviamento e dunque una
conoscenza che di una fonte energetica. Il messaggio digitale perde dunque la sua
universalità e diventa un messaggio
sofisticato ma sopratutto classista ed elitario.
Nella
storia dell'uomo le superfici
naturali che ospitavano le tracce visive
erano accessibili a tutti perché facevano
parte della realtà che ci ospita. Per esempio,
nel medio evo il mendicante analfabeta che entrava in una chiesa percepiva
subito il messaggio degli affreschi sui muri. Non aveva bisogno di conoscenze
particolari e sofisticate. Ora per percepire delle immagini digitali un
individuo deve innanzitutto avere
possibilità economiche per acquistare un
manufatto altamente tecnologico di lettura, delle conoscenze di base per utilizzarlo e una fonte energetica
per farlo funzionare.... per non parlare di altre necessità
di connessioni varie.
Un altro aspetto importante è
la dimensione della superficie su cui lasciare le tracce. Il grande limite
delle immagini digitali e la loro mancanza di pathos sta proprio nelle loro
dimensioni. Nonostante la possibilità
di risoluzione (caratteristica che descriverò
nei prossimi capitoli) la dimensione di superficie dove far entrare la traccia
si limita alla grandezza di un monitor o al limite di un telone di una sala
cinematografica. Le superfici naturali non avevano limiti, che fossero la Cappella Sistina o il monte Rushmore o la
Sfinge.
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