La
superficie digitale
Eccoci
giunti ad esaminare un tipo di superficie su cui lasciare le tracce e che mai è
apparsa di fronte all'uomo: una superficie digitale.
Come
vedremo fra poco le differenze sono enormi. Cercherò
di confrontare le superfici tradizionali con quelle digitali per scoprire così
gli aspetti negativi e poi quelli positivi. La prima grande differenza tra le
prime e le seconde è la loro
accessibilità. Cosa significa? Significa
che a differenza di tutte le tracce precedenti, la superficie digitale che
ospita una immagine digitale, per vederla e dunque percepirla, ha bisogno
naturalmente di uno strumento digitale,
cioè
non più una superficie naturale
per la cui lettura era sufficiente
avere una fonte luminosa, ma un
manufatto umano (computer, tablet, monitor, ecc.) altamente complesso e che per poterlo utilizzare ha bisogno, sia di un'azione di avviamento e dunque una
conoscenza che di una fonte energetica. Il messaggio digitale perde dunque la sua
universalità e diventa un messaggio
sofisticato ma sopratutto classista ed elitario.
Nella
storia dell'uomo le superfici
naturali che ospitavano le tracce visive
erano accessibili a tutti perché facevano
parte della realtà che ci ospita. Per esempio,
nel medio evo il mendicante analfabeta che entrava in una chiesa percepiva
subito il messaggio degli affreschi sui muri. Non aveva bisogno di conoscenze
particolari e sofisticate. Ora per percepire delle immagini digitali un
individuo deve innanzitutto avere
possibilità economiche per acquistare un
manufatto altamente tecnologico di lettura, delle conoscenze di base per utilizzarlo e una fonte energetica
per farlo funzionare.... per non parlare di altre necessità
di connessioni varie.
Un altro aspetto importante è
la dimensione della superficie su cui lasciare le tracce. Il grande limite
delle immagini digitali e la loro mancanza di pathos sta proprio nelle loro
dimensioni. Nonostante la possibilità
di risoluzione (caratteristica che descriverò
nei prossimi capitoli) la dimensione di superficie dove far entrare la traccia
si limita alla grandezza di un monitor o al limite di un telone di una sala
cinematografica. Le superfici naturali non avevano limiti, che fossero la Cappella Sistina o il monte Rushmore o la
Sfinge.
Dimensioni
delle immagini digitali
Le
dimensioni di una immagine si possono catalogare di due tipi: dimensioni
strutturali e dimensioni spaziali. Con il concetto di dimensioni strutturali
intendo proprio le loro dimensioni fisiche e cioè
in definitiva la grandezza del supporto su cui si manifestano. Al contrario le
dimensioni spaziali sono lo spazio che l'immagine rappresenta al suo interno e
che non è altro che un illusione
ottica, sia che venga utilizzata la regola della prospettiva lineare o che si
utilizzi la tecnica della visione in 3D.
Iniziamo ad
analizzare la prima. La dimensione strutturale su cui si lascia una traccia
visiva, non è un dettaglio di poco conto.
La dimensione di una immagine è un fattore
espressivo ed emozionale fondamentale. Come ho scritto in altre parti, vedere
la Cappella Sistina nella sua dimensione reale e vederla su un catalogo è
tutta un altra cosa. A prima vista, le immagini digitali hanno questo grosso
limite: come tutte le immagini le loro
dimensioni strutturali sono ancorate alla grandezza del loro supporto. Ma se
con i supporti materici non ci sono problemi a scegliere qualsiasi dimensione (
a parte la possibilità di poterli
leggere) con quelli digitali, appare evidente che oltre allo schermo di un
video di computer o di tablet, non possono essere espressi. Che lo schermo sia
di pochi pollici o che sia un maxi schermo da parete, oltre a queste dimensioni
non si esce. Esiste però la
possibilità di replicare o meglio, proiettare le immagini digitali su grandi schermi. Questa eventualità
è
possibile solo se la loro risoluzione sia sufficientemente alta. Ecco il punto
centrale del problema che è un'altra
caratteristica rivoluzionaria delle immagini digitali: la loro risoluzione! Ma
cos’è
una risoluzione di un immagine digitale? Su wikipedia troviamo questa
descrizione:
La
risoluzione indica il grado di qualità di un'immagine. Generalmente
si usa questo termine riguardo immagini digitali, ma anche una qualunque
fotografia ha una certa risoluzione.
Nelle
immagini su computer, la risoluzione indica la densità dei punti dot elementari, che formano l'immagine
rapportata ad una dimensione lineare (ad esempio punti/cm o punti/pollice). Lo
schermo di un computer non può mostrare linee o disegni, ma
soltanto punti; se questi sono sufficientemente piccoli, tali da essere più piccoli della risoluzione percepita dall'occhio umano,
l'osservatore ha l'impressione di vedere linee anziché punti allineati, e disegni anziché ammassi di puntini distinti.
La risoluzione si potrebbe dunque descrivere
come la loro dimensione strutturale depositata all'interno di quel algoritmo
che le rappresenta. Una dimensione in potenza, nel senso che
l’immagine
digitale ha nel suo essere la possibilità
di cambiare dimensione. Non solo, ma se consideriamo che l’immagine
digitale è un algoritmo matematico significa che quando viene riprodotta non viene
copiata ma rigenerata in un nuovo originale.
Nella realtà
digitale non esiste più “la copia”
ma la possibilità di replicare migliaia di
volte originali. Se il mio file
nativo è ad alta risoluzione, ha in
potenza la possibilità di essere
replicato (e non copiato) nella dimensione di parecchi metri quadri senza la
preoccupazione di vedere alterata la sua qualità.
Chiunque lavora nel mondo delle immagini sa quanto sia differente la fedeltà
tra l’originale
materico e la sua riproduzione in copia, nel paradigma del digitale questo
problema è stato cancellato.
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