sabato 2 marzo 2013

nuova filosofia dell'immagine

Finalmente dopo una lunga pausa dovuta a organizzare mostre e lavoro arretrato, riprendo a scrivere la mia "nuova filosofia dell'immagine".... buona lettura





La superficie digitale

Eccoci giunti ad esaminare un tipo di superficie su cui lasciare le tracce e  che mai è apparsa di fronte all'uomo: una superficie digitale.
Come vedremo fra poco le differenze sono enormi. Cercherò di confrontare le superfici tradizionali con quelle digitali per scoprire così gli aspetti negativi e poi quelli positivi. La prima grande differenza tra le prime e le seconde è la loro accessibilità. Cosa significa? Significa che a differenza di tutte le tracce precedenti, la superficie digitale che ospita una immagine digitale, per vederla e dunque percepirla, ha bisogno naturalmente  di uno strumento digitale, cioè non più una superficie naturale per  la cui lettura era sufficiente avere  una fonte luminosa, ma un manufatto umano (computer, tablet, monitor, ecc.) altamente complesso e  che per poterlo utilizzare ha bisogno,  sia di un'azione di avviamento e dunque una conoscenza che di una fonte energetica. Il  messaggio digitale perde dunque la sua universalità e diventa un messaggio sofisticato ma sopratutto classista ed elitario.
Nella storia dell'uomo le  superfici naturali  che ospitavano le tracce visive erano accessibili a tutti perché facevano parte della realtà che ci ospita. Per esempio, nel medio evo il mendicante analfabeta che entrava in una chiesa percepiva subito il messaggio degli affreschi sui muri. Non aveva bisogno di conoscenze particolari e sofisticate. Ora per percepire delle immagini digitali un individuo deve innanzitutto  avere possibilità economiche per acquistare un manufatto altamente tecnologico di lettura, delle conoscenze di  base per utilizzarlo e una fonte energetica per farlo funzionare.... per non parlare di altre necessità di  connessioni varie.
 Un altro aspetto importante è la dimensione della superficie su cui lasciare le tracce. Il grande limite delle immagini digitali e la loro mancanza di pathos sta proprio nelle loro dimensioni. Nonostante la possibilità di risoluzione (caratteristica che descriverò nei prossimi capitoli) la dimensione di superficie dove far entrare la traccia si limita alla grandezza di un monitor o al limite di un telone di una sala cinematografica. Le superfici naturali non avevano limiti, che fossero   la Cappella Sistina o il monte Rushmore o la Sfinge.



Dimensioni delle immagini digitali

Le dimensioni di una immagine si possono catalogare di due tipi: dimensioni strutturali e dimensioni spaziali. Con il concetto di dimensioni strutturali intendo proprio le loro dimensioni fisiche e cioè in definitiva la grandezza del supporto su cui si manifestano. Al contrario le dimensioni spaziali sono lo spazio che l'immagine rappresenta al suo interno e che non è altro che un illusione ottica, sia che venga utilizzata la regola della prospettiva lineare o che si utilizzi la tecnica della visione in 3D.
Iniziamo ad analizzare la prima. La dimensione strutturale su cui si lascia una traccia visiva, non è un dettaglio di poco conto. La dimensione di una immagine è un fattore espressivo ed emozionale fondamentale. Come ho scritto in altre parti, vedere la Cappella Sistina nella sua dimensione reale e vederla su un catalogo è tutta un altra cosa. A prima vista, le immagini digitali hanno questo grosso limite: come tutte le immagini  le loro dimensioni strutturali sono ancorate alla grandezza del loro supporto. Ma se con i supporti materici non ci sono problemi a scegliere qualsiasi dimensione ( a parte la possibilità di poterli leggere) con quelli digitali, appare evidente che oltre allo schermo di un video di computer o di tablet, non possono essere espressi. Che lo schermo sia di pochi pollici o che sia un maxi schermo da parete, oltre a queste dimensioni non si esce. Esiste però la possibilità di replicare o meglio,  proiettare le immagini digitali  su grandi schermi. Questa  eventualità è possibile solo se la loro risoluzione sia sufficientemente alta. Ecco il punto centrale del problema che è un'altra caratteristica rivoluzionaria delle immagini digitali: la loro risoluzione! Ma cos’è una risoluzione di un immagine digitale? Su wikipedia troviamo questa descrizione:

La risoluzione indica il grado di qualità di un'immagine. Generalmente si usa questo termine riguardo immagini digitali, ma anche una qualunque fotografia ha una certa risoluzione.
Nelle immagini su computer, la risoluzione indica la densità dei punti dot elementari, che formano l'immagine rapportata ad una dimensione lineare (ad esempio punti/cm o punti/pollice). Lo schermo di un computer non può mostrare linee o disegni, ma soltanto punti; se questi sono sufficientemente piccoli, tali da essere più piccoli della risoluzione percepita dall'occhio umano, l'osservatore ha l'impressione di vedere linee anziché punti allineati, e disegni anziché ammassi di puntini distinti.
La  risoluzione si potrebbe dunque descrivere come la loro dimensione strutturale depositata all'interno di quel algoritmo che le rappresenta. Una dimensione in potenza, nel senso che limmagine digitale ha nel suo essere la possibilità di cambiare dimensione. Non solo, ma se consideriamo che limmagine digitale è un algoritmo matematico significa che quando viene riprodotta non viene copiata ma rigenerata in un nuovo originale.
Nella realtà digitale non esiste più la copia ma la possibilità di replicare migliaia di volte originali. Se il mio file nativo è ad alta risoluzione, ha in potenza la possibilità di essere replicato (e non copiato) nella dimensione di parecchi metri quadri senza la preoccupazione di vedere alterata la sua qualità. Chiunque lavora nel mondo delle immagini sa quanto sia differente la fedeltà tra loriginale materico e la sua riproduzione in copia, nel paradigma del digitale questo problema è stato cancellato.




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