Nuovo work in progres: la caravella
domenica 28 ottobre 2012
sabato 27 ottobre 2012
mostra 5 tracce
5
Tracce
Illustratori a Massa
Cinque
grandi illustratori in esposizione
Cinque
autori che hanno popolato di tracce il nostro
immaginario collettivo degli ultimi 50 anni
Cinque
realtà visive diverse
GIANNI DE CONNO
ALDO DI GENNARO
LIBERO GOZZINI
GIULIO PERANZONI
ANGELO STANO
Cinque
artisti che lasciano le loro cinque tracce.
Uso la parola traccia non a caso ma per un motivo ben preciso. Il termine traccia potrebbe apparire come un
vocabolo comune, ma non lo è;
avrei potuto intitolare questa mostra semplicemente 5 illustratori, oppure 5
matite o altro, ma ho usato la parola traccia perché il suo significato è molto più profondo, ed è legato alla nostra
esistenza, alla storia, all’essere.
La traccia è la prova che qualche cosa è esistito. Un orma sul
terreno è la
prova che qualcuno è
passato e dunque era presente in quel luogo. Senza tracce non avremmo una
storia da condividere, tutta la storia che conosciamo deriva dalle tracce
(scritte, visive, orali) che le vecchie generazioni prima di noi ci hanno
lasciato e grazie alle quali ora sappiamo cosa c’è stato nel tempo passato. Non a caso si usano dei termini come “le tracce del passato” oppure “le tracce di un’antica civiltà”. Il nostro nome e
cognome è una
traccia scritta per distinguerci da miliardi di altre persone. Aristotele considerava
l’informazione
orale come un’incisione
di tracce nella memoria del cervello, un concetto confermato tra l’altro dalle
neuroscienze e un uomo senza memoria, dunque senza tracce, sperduto, non
saprebbe come relazionarsi con la realtà. Infatti, le persone che perdono completamente la memoria vengono
anche descritte in alcuni casi come persone che sono in una condizione “vegetale”.
Le
immagini sono dunque tracce della nostra esistenza e che hanno un’importanza enorme nella
nostra vita e in certi casi un potere tremendo. Pensate al potere degli idoli
religiosi nell’antichità e della suggestione d’immagini religiose.
Nella mitologia greca questa potenza era ben conosciuta. Perseo riesce a
sconfiggere la Medusa (la forza brutale della natura a cui nessun mortale
poteva rivolgere lo sguardo per non essere pietrificato) grazie alla potenza
dell’immagine,
è
infatti all’ingegnosa
astuzia di utilizzare l’immagine
riflessa del suo scudo lucente che riesce a sconfiggerla. Anche ai nostri
giorni abbiamo la prova di quale potere possa avere un immagine: è bastata una vignetta di
Maometto per scatenare quasi una guerra di religione, oppure la collezione di
querele per chi turba la figura di un politico. La potenza delle immagini!
Ecco
perché ho
usato il termine tracce per presentare una mostra d’immagini. Le immagini
sono tracce che hanno sempre più un’importanza fondamentale
nella nostra società.
Sono la prova della nostra esistenza, sono la nostra storia che testimonierà alle generazioni
future cosa eravamo e cosa pensavamo. Chi crea immagini ha una dote e una
potenzialità non
comune, sono la memoria collettiva di una società. Mi è
sembrato doveroso mettere in esposizione alcune tracce tra le più preziose e far capire alle nuove generazioni quale potenzialità e opportunità possa offrire una
professione così poco
conosciuta ma così
fondamentale: il creatore di immagini.
Un evento unico non solo per la città di Massa ma per il
panorama dell'illustrazione italiana. Per la prima volta, cinque dei maggiori
illustratori italiani, sono riuniti in un unica esposizione. Le loro tracce
hanno popolato cinquant'anni del
nostro immaginario. Dall'editoria alla pubblicità, dai libri di testo ai fumetti. Tracce materiche,
digitali, tridimensionali esposte insieme,
in una irripetibile occasione. Una panoramica delle tavole più belle di questi ultimi
decenni. Immagini che hanno vestito le
idee di copertine, libri, pubblicità, storie avventurose e misteriose. Tracce visive lasciate in questi
anni da grandi artisti da vedere e
ammirare. Una mostra che se coronata da successo, magari potrebbe diventare un
appuntamento fisso.
Creatori
d’immagini,
una professione affascinante che con
l'avvento della realtà
digitale sta diventando anche una delle professioni centrali della new-economy.
Ognuno di loro produce in settori
differenti: editoria, editoria per l'infanzia, pubblicità, fumetti,
scolastica, e che esposti insieme danno una panoramica
generale di come le immagini disegnate possono essere una grande occasione
professionale per i giovani talenti.
È sufficiente leggere le loro biografie e vedere le loro tavole
per comprendere lo spessore dell'evento. Alcune tavole giungono da esposizioni
importanti tenute in grandi città come Milano, Roma e Napoli. Le loro recensioni sono apparse sui
maggiori organi nazionali di informazione. Penso che unite in un unico evento
avranno ancora più
attenzione e riscontro, una grande occasione per la città di Massa.
venerdì 26 ottobre 2012
nuovo work in progres: corsari!
nuovo work in progres: corsari! .....dopo tante ricostruzioni era ora; forse mi sono fatto prendere la mano, ma va bene così, all'arrembaggio!!
giovedì 25 ottobre 2012
martedì 23 ottobre 2012
giovedì 18 ottobre 2012
ultima versione corretta di Skéne rhei
L'atto creativo come spettacolo
SKÉNE RHEI
L'illustrazione diventa spettacolo
di
GIULIO PERANZONI
la scenografia in divenire
Quando
vediamo un’immagine disegnata abbiamo davanti a noi il risultato di un processo
creativo in divenire. L'immagine disegnata è il risultato temporale di
un fare, di numerosi gesti che portano come conclusione ad un’immagine definitiva.
L'immagine è una traccia visiva che viene
inserita nella realtà, il suo scopo è di essere ammirata e
letta, la sua esistenza coincide con la ricezione del suo messaggio.
Un'immagine non vista non esiste appunto perché nessuno l'ha vista.
Ontologicamente, a voler essere più profondi, il concetto del
nulla o della morte coincide infatti con l'assenza dell'immagine dalla realtà. Ma, considerazioni
filosofiche a parte, se l'aspetto visivo finale è quello più appariscente e immediato,
esiste anche un altro aspetto su cui vale la pena di riflettere: il suo
divenire. L'atto creativo in sé di un’immagine. Prima della
nascita di una tecnologia che permettesse di registrare immagini in movimento,
il poter assistere all'esecuzione di un’opera da parte di un
creatore era privilegio dei pochi
assistenti, committenti o modelli presenti nel momento stesso della creazione.
Lo spettacolo di un autore che da una
superficie intonsa, come per magia, fa apparire al mondo un qualche cosa che
prima non c'era, era considerato forse come un dettaglio tecnico di poco
conto. Eppure, in quasi tutte le
espressioni artistiche, il fare è parte dell'opera.
Ascoltare della musica è molto diverso che vedere dal vivo la sua esecuzione. Leggere un’opera teatrale è completamente diverso
dall'essere presente alla sua messa in scena.
Se, come scriveva già nel secolo scorso W. Benjamin, "...con la riproducibilità tecnica l'immagine aveva perso la sua aurea", ora la stessa tecnica può restituire all'autore il
suo "hic et nunc" . Al fare, all'atto
creativo in sé può essere dato un valore
estetico autonomo. Il gesto diventa così di per s'è un'opera d'arte, che può uscire dall'ombra
dell'opera stessa.
Quando siamo spettatori di un creativo
all'opera, nella maggioranza dei casi, rimaniamo rapiti di fronte alla sua
gestualità, alla sua manualità con cui dal nulla riesce a far apparire una traccia, un segno.
Rimaniamo estasiati sia che usi il solito foglio e matita, sia che utilizzi la
penna ottica e un monitor..... Quando visitai il museo di Picasso a Malaga, oltre alle varie opere che già conoscevo, rimasi
folgorato davanti ad una registrazione in cui si poteva vedere l'artista
all'opera mentre creava una immagine su una lastra di vetro. Non ci sono
paragoni nel vedere un quadro già finito e vederlo creare
dal nulla, con gesti armoniosi, in
divenire. Ma la domanda che mi
tormentava era: Perché la sua performance mi ha impressionato
così tanto in confronto alla visione di un opera già terminata?
Credo che il motivo sia proprio per un valore
estetico del gesto, del fare che è autonomo dall'opera
finale, un valore che in alcune forme espressive si aggiunge all'opera stessa.
Lo possiamo distinguere in maniera decisa in alcune espressioni dove sono più evidenti i due aspetti.
Prendiamo per esempio un opera musicale. Sentire una canzone incisa su cd o con
altri mezzi produce un certo piacere, una gradevole emozione; sentire però la stessa canzone dal
vivo eseguita dall'autore ha più valore e coinvolgimento. Perché in questo caso alla riproducibilità dell'opera si è aggiunto il famoso "
hic
et nunc" che rende l'esecuzione unica e originale.
È proprio questo aspetto
che ho cercato di concretizzare in questi ultimi tempi. Il palcoscenico di un
teatro è stato il luogo naturale
per esporre l'atto creativo in sé e la scenografia in
divenire (Skéne rhei) è stata l'accesso con cui sono riuscito a presentarmi di fronte ad un
pubblico come illustratore. Il mio disegnare si è inserito nel contesto di
una esecuzione teatrale, l'illustrare è diventato così uno spettacolo nello
spettacolo, a prescindere dalle immagini che ho prodotto. L'atto creativo,
indipendentemente dal suo risultato, si è finalmente emancipato ed è divenuto un’opera a sé.
Creare una scenografia in divenire durante
uno rappresentazione teatrale ha diversi aspetti inediti nel campo della
creatività. Portare l'atto creativo di un’immagine disegnata di
fronte ad un pubblico vuol dire dunque separare l'atto in sé dal suo risultato finale
e cioè dall'immagine stessa. Questo mi porta alla conclusione che la
produzione di qualsiasi opera d'arte la
si può considerare come un passaggio di diversi momenti ben distinti:
1)
l'elaborazione e l'interpretazione di un idea
2) il fare, la gestualità, la manualità con cui la si esegue
3) l'opera fisicamente definita,
cioè il prodotto finale fisico che prende un suo spazio nella realtà.
Riuscire ad esporre il primo aspetto penso
sia molto improbabile (a meno che in un futuro si potrà leggere e visualizzare le
scariche elettriche delle sinapsi di una mente) ma il secondo caso è un aspetto che si può benissimo rendere
indipendente dall'opera stessa e trasformarlo a sua volta in un opera da
ammirare.
In collaborazione con il regista teatrale Francesco
Moccia della compagnia Brancaleone, ho cercato di mettere in pratica lo Skéne rhei con una novella di
Checov: “il monaco nero”, e subito ci siamo accorti che il disegnare non
solo era uno spettacolo da ammirare in sé, ma che poteva benissimo
interagire all'interno della rappresentazione teatrale. Produrre un’immagine è in pratica comunicare
qualche cosa e in questo caso il
messaggio disegnato si associa all'altra comunicazione in campo, quella vocale
e cioè la recitazione. I miei segni in divenire proiettati sulla scenografia
sono come parole, suoni e dunque possono benissimo interagire con la
recitazione vera e propria. L'attore a questo punto può recitare colloquiando con
i miei disegni. L'illustratore/scenografo diventa così a sua volta un attore,
una presenza invisibile ma molto presente sul palcoscenico.
Disegnare una scenografia in divenire, e
soprattutto interagire con la rappresentazione teatrale significa dunque che
l'atto del disegno diventa una rappresentazione e una espressione che è simile a quella
dell'attore.
La mia performance che compio durante lo
spettacolo, i miei disegni che appaiono e scompaiono in un succedersi
frenetico in armonia con il ritmo della
recitazione, prende chiaramente l'aspetto di una esecuzione dal vivo
equiparabile a quella musicale.
In effetti è da diversi anni che
alcuni illustratori hanno portato su un palcoscenico, come un concerto, la loro
affascinante perizia. Illustratori che recitano mentre disegnano e il cui fare
viene proiettato su uno schermo, performance di artisti ripresi con videocamera
e riproposti in loop, lo stesso Picasso, come accennato prima, ripreso in una
registrazione che addirittura si trasforma in opera d'arte
autonoma e come tale esposta all'interno
del museo.
Ma c'è una grossa differenza tra
questi esempi e lo Skéne Rhei . In quei casi, il fare artistico viene presentato come
"lo spettacolo". Non c'è interazione con altre
forme di espressione e soprattutto si propone come unico soggetto teatrale . In
altre parole, utilizza il luogo del teatro non per recitare ma per esporsi,
come in un museo. Certo, è un’opera in movimento ma unilaterale come le altre opere fisse ai
muri di una galleria d'arte.
Lo Skéne Rhei, al contrario, è un fare artistico che si
relaziona con un altro fare, la recita dal vivo. Non prende il teatro come
luogo dove esporsi trasformandolo così in una sorta di galleria
d'arte, ma lo utilizza nella maniera corretta e cioè come luogo di
recitazione.
Il mio disegnare segue il copione, fa parte
del copione stesso. Interagendo con gli attori e partecipando allo sviluppo
della storia, le mie gesta che disegnano figure proiettate sul palcoscenico
diventano simili alle gesta che compiono
gli attori per esprimersi. Loro eseguono una gestualità del corpo per comunicare
e cercare di visualizzare al pubblico le emozioni, i personaggi, la trama di
una storia, io eseguo dei gesti che creano attori eterei ma concreti che hanno
lo stesso scopo. La loro gestualità è identica alla mia, abbiamo
lo stesso obbiettivo: visualizzare qualche cosa ad un pubblico.
Ecco dov'è la grossa differenza con
gli esempi di prima: l'illustratore che si cimenta con lo skéne rhei, non utilizza il
teatro per sé, ma ci entra dentro come attore. Come gli altri attori deve fare le
prove, seguire una sceneggiatura, una regia. È un attore a tutti gli
effetti.
Continua…..
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