L'atto creativo come spettacolo
SKÉNE RHEI
L'illustrazione diventa spettacolo
di
GIULIO PERANZONI
la scenografia in divenire
Quando
vediamo una immagine disegnata abbiamo davanti a noi il risultato di un
processo creativo in divenire. L'immagine disegnata è il risultato temporale di
un fare, di numerosi gesti che portano come conclusione ad un immagine definitiva. L'immagine è una traccia visiva che viene inserita nella realtà, il suo scopo è di essere ammirata e
letta, la sua esistenza coincide con la ricezione del suo messaggio.
Un'immagine non vista non esiste appunto perché nessuno l'ha vista.
Ontologicamente, a voler essere più profondi, il concetto del
nulla o della morte coincide infatti con l'assenza dell'immagine dalla realtà. Ma, considerazioni
filosofiche a parte, se l'aspetto visivo finale è quello più appariscente e immediato,
esiste anche un altro aspetto su cui vale la pena di riflettere: il suo
divenire. L'atto creativo in sé di un immagine. Prima della nascita di una
tecnologia che permettesse di registrare immagini in movimento, il poter
assistere all'esecuzione di un opera da parte di un creatore era privilegio dei pochi assistenti,
committenti o modelli presenti nel momento stesso della creazione. Lo
spettacolo di un autore che da una
superficie intonsa, come per magia, fa apparire al mondo un qualche cosa che
prima non c'era, era considerato forse come un dettaglio tecnico di poco
conto. Eppure, in quasi tutte le
espressioni artistiche, il fare è parte dell'opera.
Ascoltare della musica è molto diverso che vedere dal vivo la sua esecuzione. Leggere un opera
teatrale è completamente diverso dall'essere presente alla sua messa in
scena. Se, come scriveva già nel secolo scorso W.
Benjamin, "...con la riproducibilità tecnica l'immagine aveva perso la sua
aurea", ora
la stessa tecnica può restituire all'autore il suo "hic et nunc" . Al fare, all'atto creativo in sé può essere dato un valore
estetico autonomo. Il gesto diventa così di per s'è un'opera d'arte, che può uscire dall'ombra
dell'opera stessa.
Quando siamo spettatori di un creativo
all'opera, nella maggioranza dei casi, rimaniamo rapiti di fronte alla sua
gestualità, alla sua manualità con cui dal nulla riesce a far apparire una traccia, un segno.
Rimaniamo estasiati sia che usi il solito foglio e matita, sia che utilizzi la
penna ottica e un monitor..... Quando visitai il museo di Picasso a Malaga, oltre alle varie opere che già conoscevo, rimasi
folgorato davanti ad una registrazione in cui si poteva vedere l'artista
all'opera mentre creava una immagine su una lastra di vetro. Non ci sono
paragoni nel vedere un quadro già finito e vederlo creare
dal nulla, con gesti armoniosi, in
divenire. Ma la domanda che mi
tormentava era: Perché la sua performance mi ha impressionato
così tanto in confronto alla visione di un opera già terminata?
Credo che il motivo sia proprio per un valore
estetico del gesto, del fare che è autonomo dall'opera
finale, un valore che in alcune forme espressive si aggiunge all'opera stessa.
Lo possiamo distinguere in maniera decisa in alcune espressioni dove sono più evidenti i due aspetti.
Prendiamo per esempio un opera musicale. Sentire una canzone incisa su cd o con
altri mezzi produce un certo piacere, una gradevole emozione; sentire però la stessa canzone dal
vivo eseguita dall'autore ha più valore e coinvolgimento. Perché in questo caso alla riproducibilità dell'opera si è aggiunto il famoso "
hic
et nunc" che rende l'esecuzione unica e originale.
Creare una scenografia in divenire durante
uno rappresentazione teatrale ha diversi aspetti inediti nel campo della
creatività. Portare l'atto creativo di un immagine disegnata di fronte ad un
pubblico vuol dire separare l'atto in sé dal suo risultato finale
e cioè dall'immagine stessa. Questo mi porta alla conclusione che la
produzione di qualsiasi opera d'arte la
si può considerare come un passaggio di diversi momenti ben distinti:
1)
l'elaborazione e l'interpretazione di un idea
2) il fare, la gestualità, la manualità con cui la si esegue
3) l'opera fisicamente definita,
cioè il prodotto finale fisico che prende un suo spazio nella realtà.
Riuscire ad esporre il primo aspetto penso
sia molto improbabile (a meno che in un futuro si potrà leggere e visualizzare le
scariche elettriche delle sinapsi di una mente) ma il secondo caso è un aspetto che si può benissimo rendere
indipendente dall'opera stessa e trasformarlo a sua volta in un opera da
ammirare.
È proprio questo aspetto che ho cercato di concretizzare in questi
ultimi tempi. Il palcoscenico di un teatro
è stato il luogo naturale per esporre l'atto creativo in sé e la scenografia è stata l'accesso con cui
sono riuscito a presentarmi di fronte ad un pubblico come illustratore. Il mio
disegnare si è inserito nel contesto di una esecuzione teatrale, l'illustratore è diventato così uno spettacolo nello
spettacolo, a prescindere dalle immagini che ho prodotto, l'atto creativo,
indipendentemente dal suo prodotto, si è finalmente emancipato ed è divenuto un opera a sé.
A questo punto però, in collaborazione con il
regista dell'opera teatrale, ci siamo accorti che il disegnare non solo era uno
spettacolo da ammirare in sé, ma che poteva benissimo interagire all'interno della rappresentazione
teatrale. Produrre un immagine è in pratica comunicare qualche cosa e in questo caso il messaggio disegnato si associa all'altra
comunicazione in campo, quella vocale e cioè la recitazione. I miei
segni in divenire proiettati sulla scenografia sono come parole, suoni e dunque
possono benissimo interagire con la recitazione vera e propria. L'attore a
questo punto può recitare colloquiando con i miei disegni. L'illustratore/scenografo
diventa così a sua volta un attore, una presenza invisibile ma molto presente sul
palcoscenico.
Disegnare una scenografia in divenire, e
soprattutto interagire con la rappresentazione teatrale significa dunque che
l'atto del disegno diventa una rappresentazione e una espressione che è simile a quella
dell'attore.
La mia performance che compio durante lo
spettacolo, i miei disegni che appaiono e scompaiono in un succedersi
frenetico in armonia con il ritmo della
recitazione, prende chiaramente l'aspetto di una esecuzione dal vivo
equiparabile a quella musicale.
In effetti è da diversi anni che
alcuni illustratori hanno portato su un palcoscenico, come un concerto, la loro
affascinante perizia. Illustratori che recitano mentre disegnano e il cui fare
viene proiettato su uno schermo, performance di artisti ripresi con videocamera
e riproposti in loop, lo stesso Picasso, come accennato prima, ripreso in una
registrazione che addirittura si trasforma in opera d'arte
autonoma e come tale esposta all'interno
del museo.
Ma c'è una grossa differenza tra
questi esempi e lo Skéne Rhei . In quei casi, il fare artistico viene presentato come
"lo spettacolo". Non c'è interazione con altre
forme di espressione e soprattutto si propone come unico soggetto teatrale . In
altre parole, utilizza il luogo del teatro non per recitare ma per esporsi,
come in un museo. Certo, è un opera in movimento ma unilaterale come le altre opere fisse ai
muri di una galleria d'arte.
Lo Skéne Rhei, al contrario, è un fare artistico che si
relaziona con un altro fare, la recita dal vivo. Non prende il teatro come
luogo dove esporsi trasformandolo così in una sorta di galleria
d'arte, ma lo utilizza nella maniera corretta e cioè come luogo di
recitazione.
Il mio disegnare segue il copione, fa parte
del copione stesso. Interagendo con gli attori e partecipando allo sviluppo
della storia, le mie gesta che disegnano figure proiettate sul palcoscenico
diventano simili alle gesta che compiono
gli attori per esprimersi. Loro eseguono una gestualità del corpo per comunicare
e cercare di visualizzare al pubblico le emozioni, i personaggi, la trama di
una storia, io eseguo dei gesti che creano attori eterei ma concreti che hanno
lo stesso scopo. La loro gestualità è identica alla mia,
abbiamo lo stesso obbiettivo: visualizzare qualche cosa ad un pubblico.
Ecco dov'è la grossa differenza con
gli esempi di prima: l'illustratore che si cimenta con lo skéne rhei, non utilizza il
teatro per sé, ma ci entra dentro come attore. Come gli altri attori deve fare le
prove, seguire una sceneggiatura, una regia. È un attore a tutti gli
effetti. La sua voce è grafica e la sua rappresentazione del testo teatrale è interpretativa non
illustrativa. Come un attore non legge un testo ma lo interpreta, così chi esegue una skéne rhei non illustra un
testo ma lo interpreta. Alle immagini disegnate vengono aggiunte nuove proprietà: il fluire del tempo e una
nuova dimensione (la grandezza del
palcoscenico). Come tutte le esecuzioni dal vivo, sarà soggetta a tutti gli
imprevisti e agli incidenti del momento. Non c'è spazio per tentativi e
ripetizioni, solo una lunga preparazione e introiezione dei gesti per riuscire
ad eseguirla in maniera perfetta nel momento della rappresentazione unica che
andrà in scena. Non è più una scenografia, un contenitore in cui si svolge un'azione, ma essa
stessa diventa azione. La scenografia da elemento teatrale passivo diventa un elemento attivo, partecipe
allo svolgersi dello spettacolo.
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