lunedì 13 agosto 2012

aggiunte alla "nuova filosofia dell'immagine"


Per una nuova filosofia dell'immagine


L'uomo è l'unico essere vivente che produce immagini. Non esiste in natura nessun organismo che  ha la facoltà di riprodurre sia quel che  vede intorno a lui  sia quello che vede all'interno della sua mente. È una facoltà unica che tra l'altro non tutti  hanno e che  nelle società umane viene appunto paragonata ad un dono. Quante volte abbiamo descritto una persona che disegna come colui che ha la fortuna di avere il dono del disegno.   Con queste riflessioni  inizio una approfondita ricerca sulle immagini e in particolare su quelle digitali, cercherò di descrivere  la loro struttura, la loro forma, il loro contesto e soprattutto di analizzarle sotto una prospettiva  epistemologica e ontologica.  Il motivo che mi spinge ad un impegno così pesante è la consapevolezza che in questi ultimi decenni, con l'affermarsi di una cultura digitale, la produzione di diverse e soprattutto nuove tipologie di immagini da parte dell'uomo si è  evoluta in maniera esponenziale. Mi sembra di fare una cosa utile nel cercare di catalogare e fare ordine in questo nuovo paradigma visivo per diversi motivi.
 Il primo motivo è  un passione  personale verso la filosofia  e  come creatore di immagini  penso di avere le competenze adatte per analizzare e  capire la materia di cui sto trattando.
Il secondo motivo è che,  uno studio epistemologico  aggiornato e approfondito sulle immagini disegnate non  sia ancora stato scritto; di conseguenza, credo  sia  fondamentale e utile  tentare di scriverne uno per coloro che, come me, creano, producono, commerciano immagini e  conoscere così la nuova situazione che si sta creando nel vasto  mercato delle immagini.
Infine il terzo e ultimo, molto importante, è  che  viviamo in una nuova tipologia di società, quella che molti già definiscono informazionale, dove la merce principale è l'informazione. Dunque, conoscere  a fondo le caratteristiche di questa preziosa merce  mi sembra un grande aiuto per essere dei  protagonisti e non solo dei consumatori in questa  nuova realtà sociale in cui ci troviamo.


1.1

Prima di descrivere e analizzare le varie tipologie di immagini digitali, mi sembra fondamentale iniziare il nostro lungo viaggio nel definire in maniera approfondita l'oggetto della nostra ricerca: l'immagine.
Sotto l'aspetto ontologico, l'immagine la possiamo collocare tra i vari manufatti dell'uomo. È un oggetto che chiaramente non nasce in natura, ma ha una sua fisicità e presenza tra gli oggetti fisici e di conseguenza la possiamo catalogare tra i manufatti, cioè la sua esistenza dipende dalla facoltà umana di creare oggetti. È il prodotto di una rappresentazione, cioè di un pensiero. Il termine rappresentazione è qui considerato sotto un aspetto epistemologico, tra l'altro descritto in maniera precisa da M. Ferraris nel suo eccezionale saggio "Perché è necessario lasciare tracce". Ferraris scrive:

 "... avere rappresentazioni è la condizione dell'agire e del pensare, che sono le caratteristiche generalmente attribuite ai soggetti. Ogni agire è in vista di qualche cosa, cioè presuppone di rappresentarsi un obiettivo; ma la rappresentazione sta alla base del pensiero, e del fatto di possedere dei sentimenti, delle speranze e delle sofferenze, tutte caratteristiche degli uomini (e in parte di certi animali) e non delle cose. Il pensiero, infatti, è sempre pensiero di qualche cosa: un qualcosa che possiede, nella mente di chi pensa, quello che i filosofi chiamano <in-esistenza intenzionale>, ossia che, in parole povere, esiste come rappresentazione. E così pure il desiderio o il timore, l'amore o l'odio, e insomma tutta la gamma dei sentimenti hanno bisogno di immagini..." 

e subito dopo ne trae la conclusione:

".... Una conseguenza cruciale del possedere rappresentazioni è che tra due soggetti è possibile reciprocità, diversamente che tra due oggetti o tra un soggetto e un oggetto...."

Dunque le immagini funzionano per questa grande proprietà che ha l'uomo: il riuscire a oggettivare delle rappresentazioni che a loro volta creano reciprocità con altri soggetti simili.
Infatti una immagine creata dall'uomo funziona solo tra gli uomini.
La Monnalisa di Leonardo di fronte ad un gatto non provoca nessuna reazione, figuriamoci di fronte ad una rosa o ad un insetto.
 Le immagini  sono rappresentazioni della nostra mente che prendono l'aspetto di oggetti fisici, ma con caratteristiche alquanto particolari. Sono dunque oggetti fisici ma sono riconosciuti solo dagli uomini, sono oggetti che Ferraris classifica come oggetti sociali e che colloca nella sfera epistemologica degli oggetti.



 1.2

Sfera ontologica ed epistemologica.

Sempre seguendo la descrizione di Ferraris, e individuato a quale categoria di oggetti si possono collocare le immagini, si presenta un'altra domanda: in quale sfera filosofica collocare un'immagine disegnata. E proprio in questa scelta affiora la natura ambivalente delle immagini. Se come oggetto fisico è indubbiamente collocabile nel recinto ontologico, come oggetto sociale rientra con la  stessa misura
nella sfera epistemologica. Dunque la conclusione è che c'è da separare le immagini percepite dalle immagini create. Percepire una immagine è un fatto fisico. Mentre cammino e svoltando un angolo mi imbatto in un enorme manifesto con immagine, non posso far altro che vederlo al momento. È un'azione fisica dei miei occhi e di tutto l'apparato visivo, la mia coscienza, la mia intenzionalità non è coinvolta. Ma se io decido di creare quella immagine per una agenzia pubblicitaria, è chiaro che è una elaborazione della mia mente, una esecuzione di una mia rappresentazione e dunque una esperienza.
Seguendo sempre lo stesso esempio, posso ancora dedurre un altra curiosa caratteristica: la differenza epistemologica tra informazione testuale e visiva. Mi spiego meglio. Se voltando l'angolo mi trovo improvvisamente un manifesto scritto, per percepirlo dovrò attivare la mia coscienza e quel meccanismo di decodifica (la lettura) dei segni (la scrittura). Dunque attivo una funzione epistemologica.
 Se invece mi trovo di fronte una immagine, la percezione visiva è immediata, non ha bisogno di nessun mezzo conoscitivo. Il vedere una immagine è una lettura diretta, è     un evento fisico per il nostro cervello, e si può descrivere come un fatto ontologico; leggere al contrario necessita di esperienza, di conoscenza e dunque rientra pienamente nella sfera epistemologica.
Il fatto centrale è quando una immagine percepita e dunque trasformata in traccia nella nostra memoria diventa poi una elaborazione mentale e portata all'esterno come immagine creata. In questo caso un oggetto ontologico viene trasformato in oggetto sociale e dunque in un fatto  epistemologico, ma nel momento in cui si fissa su un supporto fisico rientra nella sfera degli oggetti fisici e dunque di nuovo in un ambito ontologico. In parole povere, una traccia nella memoria personale è un fatto epistemologico che prendendo corpo e fisicità entra nel campo degli oggetti fisici e in particolare in quella grande categoria che Ferraris descrive come oggetti sociali.
1.3
Gli oggetti sociali

"...di certo una società, per esistere, deve comunicare; ma l'atto di comunicare, da solo, non basta, anzi, si rivela come una funzione subordinata  a qualche cosa di più essenziale,ossia la registrazione."

Così inizia la la riflessione e l'analisi di Ferraris che porta all'individuazione degli oggetti sociali e all'importanza delle tracce.
Portando in profondità le riflessioni di Deridda, arriva alla individuazione di un particolare oggetto, con caratteristiche completamente diverse degli oggetti che esistono in natura, e cioè l'oggetto sociale.
 Scrive Ferraris nella sua introduzione del libro "Perchè è necessario lasciare tracce" .  
".....oggetti sociali, cioè di cose come i soldi e le opere d'arte, i matrimoni, i divorzi e gli affidi congiunti, gli anni di galera e i mutui, il costo del petrolio e i codici fiscali, il Tribunale di Norimberga e l'Accademia delle Scienze di Stoccolma....ecc. Questi oggetti affollano il nostro mondo più dei sassi, degli alberi e delle noci di cocco... Solo allora capiamo che gli oggetti sociali sono fatti di iscrizioni, su carta, su un qualche supporto magnetico, magari anche soltanto (per esempio, nelle promesse che ci facciamo a vicenda tutti i giorni) nella testa delle persone.
Ecco il motivo per cui ho intitolato questa teoria del mondo sociale documentalità: l'ontologia degli oggetti sociali è fatta di tracce, di documenti, di registrazioni....
Lasciare tracce diventa dunque un pilastro per la  formazione e per l'esistenza della  società umana. Lo studio ontologico  delle tracce e della documentalità diventa un passaggio fondamentale per capire la nostra realtà.
L'analisi della documentalità che Ferraris, Deridda, e anche Roncaglia hanno compiuto nelle loro opere è sopratutto indirizzata sul testo, sulle tracce scritte. Infatti Ferraris scrive ancora ...."Tutto è per sempre. Oggi tutto è scritto, tutto si può ritrovare. L'esplosione della scrittura svela l'essenza del legame sociale, la documentalità. Perché  è necessario lasciare tracce: altrimenti non ci sarà niente nessuno in nessun luogo mai."
 Ma la mia modesta critica nei loro confronti è che  le tracce non sono necessariamente scrittura, anzi credo che si possono distinguere diversi tipi di tracce, testuale, visiva e sonora, e che  nelle maggioranza dei casi sia proprio quella  visiva che detiene il primato. La testualità è certamente la base della documentalità ma quello  su cui invece vorrei riflettere e spostare l'attenzione è sulla traccia visiva. Le analisi  che si stanno facendo in questi ultimi tempi mi sembrano  troppo sbilanciate verso la testualità. È vero che la documentalità è nella maggioranza dei casi scritta, ma all'interno della famosa archi scrittura, la traccia visiva ha un aspetto fondamentale e forse preponderante.


1.4
Critica alla testualità

In effetti Ferraris sviluppando lo studio sugli oggetti sociali e seguendo la testualità come base e filo conduttore, arriva alla conclusione ovvia che le opere d'arte siano inutili. Infatti nel suo libro già citato sopra,  porta alle estreme conseguenze il suo discorso:
".... Le opere non rispondono prioritariamente a esigenze pratiche, bensì (nella nostra cultura, che anche da questo punto di vista non è affatto universale) a valori di puro prestigio, o di intrattenimento, o di formazione disinteressata - tutta una sfera che ho cercato di designare altrove con la metafora della  << fidanzata automatica >>,  intendendo che i rapporti che stabiliamo con le opere sono assimilabili a quelli che intratteniamo con le persone.
Credo che il modo migliore per caratterizzare la differenza tra i documenti di cui abbiamo parlato prima (documenti scritti) e quelli di cui parleremo adesso (le opere) è osservare che i primi servono per il negotium, i secondi per l'otium. Per quanto grandi possono essere i vantaggi che derivano dal possedere una educazione estetica, per ampio che possa essere il giro d'affari del mercato dell'arte, o dei film, dei concerti rock e dei best-seller letterari, resta che l'ambito a cui si riferiscono è quello della ricreazione, e appare del tutto diverso da quello che ci si attende da trattati internazionali, patenti, assegni, scontrini del supermercato e ricevute del parchimetro. L'opera costituisce, per così dire, il vertice futile della piramide documentale....."

È su questo punto che nasce fortemente la mia critica e che vorrebbe chiarire un grosso equivoco che porta alle conclusioni radicali di Ferraris. Le tracce visive non sono solo opere estetiche, ma informazioni a tutti gli effetti. Far coincidere le immagini con le opere mi sembra abbastanza limitante. Le immagini che ci arrivano dal passato non ci danno solo un piacere estetico ma ci comunicano informazioni preziose. Quando Giotto dipinge il ciclo di affreschi ad Assisi non lo fa solamente per un piacere estetico, per l'otium, ma per informare con immagini la documentalità dei testi scritti religiosi che il popolo analfabeta non poteva leggere e dunque per il negotium. In questo caso le immagini hanno sostituito il testo ma hanno la stessa importanza di una traccia scritta, presentandosi con la stessa autorità di un documento.
Quello che vorrei sottolineare è che non esistono solo immagini disegnate per una fruizione estetica, ma esistono un universo di immagini che hanno lo stesso peso di un documento scritto.
È grazie ad immagini disegnate che possiamo comprendere cosa sia un buco nero nell'universo, è grazie alle immagini disegnate che possiamo costruire un mobile dell'Ikea, è grazie alle immagini di un abbecedario che impariamo a leggere l'alfabeto. Non sono opere estetiche ma illustrazioni. Le illustrazioni sono un alfabeto universale con la stessa potenza delle tracce scritte. In generale tutte le immagini registrate su un supporto hanno la stessa documentalità delle tracce scritte. Pensate  alle recenti esplorazioni del rover su Marte. Non sarebbero così esplicative senza le immagini. Infatti l'entusiasmo per la riuscita dell'operazione è coincisa con l'arrivo delle prime immagini da parte del robot. Se al posto delle immagini fosse giunto un fax scritto non credo che l'autorità documentale sarebbe stata la stessa.


1.5
Ontologia dell'illustrazione

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