domenica 28 agosto 2011

Immagini fluide 2

Le procedure

Dopo avere analizzato le caratteristiche esterne delle immagini fluide o e-drawing, e cioè i rapporti con tempo, spazio, dimensioni ed altro, cercherò ora di descrivere la loro struttura interna, in pratica la procedura della loro creazione. Iniziamo subito con un aspetto di superficie, la loro lettura analogica, un tipo di lettura che nelle precedenti immagini non esisteva.



Caratteristica analogica delle immagini digitali

Oltre ad un loro dinamismo, le immagini digitali posseggono anche un dinamismo di lettura. Con un dinamismo di lettura intendo la possibilità di leggere le parti intermedie di una informazione, la sua storia. Prendiamo come esempio una tipica informazione trasmessa con un codice analogico: un testo scritto. In questo caso la lettura dell'informazione parte dalla prima parola e si sviluppa gradualmente nelle diverse frasi scritte su righe fino alla fine del messaggio. La sua lettura è analogica per il fatto che si estende linearmente in orizzontale con la caratteristica che il lettore può benissimo in ogni momento rileggere ogni passaggio intermedio prima della sua conclusione.
Una informazione visiva tradizionale invece non è analogica, è sintetica. Un immagine svela la sua informazione immediatamente! il codice visivo è istantaneo, non ha bisogno del tempo per essere assimilato. Per comprendere il messaggio finale di un testo scritto, devo leggere parola per parola fino alla fine del testo, l'immagine al contrario è istantanea, per il mio cervello che elabora il suo pensiero con concetti visivi, apprendere una informazione visiva è molto più semplice che leggere un codice come la scrittura. Ma il prezzo da pagare per una sintesi così immediata è la perdita di tutti i passaggi intermedi con cui la si è costruita. Da un immagine definitiva non puoi più ricostruire come è stata strutturata.
Per esempio generalmente la procedura per eseguire una immagine disegnata è una esecuzione di uno schizzo preliminare o un progetto sintetico di linee su cui costruire l'immagine, un bozzetto per capire gli equilibri grafici e il loro peso nell'insieme, segue una successiva fase di rifinitura per arrivare ad un layout definitivo su cui procedere la stesura del colore che può essere riempitiva o compositiva ed infine eventuali interventi rifinitivi. Ogni passaggio si sovrappone a quello precedente (che di fatto lo cancella) fino ad arrivare all'immagine definitiva che però ha azzerato le fasi precedenti.
Insomma, a differenza di un testo scritto il cui messaggio finale lo posso sempre rileggere oppure un nastro sonoro che posso riavvolgere e riascoltare, con un immagine cartacea tradizionale questa possibilità non c'è.
Ora, con una immagine digitale posso tranquillamente ritornare ai vari passaggi precedenti, sia leggendoli nella memoria del computer dove sono stati elaborati, sia nella possibilità di editarli insieme alla immagine finale in una specie di work in progres e vedere così la loro struttura. Appunto una struttura dinamica. Questa performance informatica delle immagini digitali mi chiarisce anche un aspetto molto diverso rispetto ad un immagine materica e cioè la loro costituzione. La loro natura da materica è passata ad una numerica, astratta. Ogni volta che un immagine appare su uno schermo viene ricostruita con algoritmi nel momento della sua visione, questo vuol dire che non esiste più l'unicità dell'opera d'arte.
Ogni volta che sul mio video di computer o di tablet appare una immagine, non mi si presenta un opera originale, ma al contrario un algoritmo matematico mi sta ricostruendo dal nulla una immagine che prima era stata cancellata. Quello che rimane in cloud non è l'immagine oggetto ma una funzione matematica che ogni volta ricostruisce nei minimi dettagli l'opera da cui è stata tradotta.
Anche per questo affermo che le opere digitali sono dinamiche, perchè non sono oggetti statici come i quadri ma funzioni matematiche che ogni volta che vengono attivate ricalcolano ogni singolo dettaglio di un opera che di fatto non esiste.

Fluidità di un immagine nel suo spazio


Inizio ad analizzare lo spazio teorico in cui è collocata un immagine. Se riflettiamo attentamente nelle immagini pre digitali, la collocazione delle varie parti che compongono l'immagine stessa, una volta che sono state eseguite sono di fatto collocate in uno spazio teorico e la loro posizione non è più modificabile, a meno che vengano cancellate e rifatte di nuovo. Si potrebbe dire che il loro rapporto con lo spazio teorico in cui sono disegnate è un rapporto fisso, rigido. Le immagini digitali, al contrario, grazie alla loro caratteristica fluida, possono essere indipendenti dal loro contesto, per cui senza problemi continuamente ricollocate. Tutti i software di disegno digitale danno la possibilità di eseguire delle immagini su livelli differenti e dunque slegati tra di loro. Questa loro indipendenza sia dallo spazio sia dal rapporto con altri elementi del disegno, dà la possibilità non solo di ricollocazione spaziale ma anche di manipolazione di altri parametri (luminosità, trasparenza, cromatici). È per questo che mi sembra corretto definire le immagini digitali fluide. È la loro possibilità di manipolazione su tutte le loro caratteristiche strutturali e sui loro rapporti interni a renderle, una volta eseguite, non più statiche e definitive.
Nel suo saggio "Software culture", Lev Manovich con molta precisione descrive queste particolarità per quanto riguarda le immagini in movimento e tridimensionali, ma che si può benissimo applicarle alle immagini fisse e bidimensionali. Manovich scrive infatti: La cultura del remix non richiede infatti singoli oggetti estetici o singole registrazioni della realtà, ma unità più piccole: parti che possono essere facilmente scambiate e combinate all'infinito." E di fatto descrive le problematiche delle immagini tradizionali in questa maniera: Il problema è che la registrazione ottica appiattisce la struttura semantica della realtà. Al posto di un insieme di oggetti che occupano aree diverse di uno spazio tridimensionale, ci troviamo davanti ad una rappresentazione piatta fatta di pixel (o grani di pellicola) che non veicolano alcuna informazione sulla propria origine, cioè sugli oggetti rappresentati. Pertanto ogni forma di modifica dello spazio -come la cancellazione o l'aggiunta di oggetti o la composizione visiva- diventa molto complicata. La manipolazione di un oggetto, ad esempio, richiede la sua accurata separazione dal resto dell'immagine attraverso l'uso di mascherine....








lunedì 22 agosto 2011

Le immagini digitali: immagini fluide

Una nuova aggiunta alle altre precedenti: il tema è la fluidità delle immagini digitali. Un concetto che mi sono inventato per descrivere molte cose interessanti sugli e-drawing. Buona lettura





E-drawing: immagini fluide





Immagini fluide, questa è un altra caratteristica molto importante delle immagini digitali. Cosa intendo per fluidità delle immagini? Mi riferisco a due proprietà interessanti, la prima è la possibilità di intervenire direttamente su un immagine acquisita per modificarla, la seconda proprietà è quella che Lev Manovich nel suo saggio  "Soft Culture"  definisce: "... Progettazione crossmediale" cioè quella facoltà per un immagine di essere usufruibile da diversi media senza doverla  "ricodificare" nei lori singoli codici. Cercherò di essere più chiaro con dei semplici esempi.
Per evitare equivoci inizio a distinguere le definizioni di dinamismo o animazione da fluidità. Un'animazione è una serie di immagini che ricreano il movimento, ma i singoli "frame" sono in ogni caso dei disegni immobili, creati dalla fantasia di un creativo e messi in sequenza, cioè in animazione. Una soluzione abbastanza datata,  nata appunto ai primi del '900 e definita " cartoni animati".
Con fluidità invece intendo la possibilità di manipolazione di una o più immagini la cui fonte è esterna alla creatività di colui che crea immagini. Prima delle immagini digitali, un autore aveva  la possibilità di ispirarsi ad altre immagini esistenti, per esempio da una fotografia, ma la sua possibilità di intervento era limitata o a copiare a mano libera oppure a ricalcare la parte interessata. Il famoso "collage" utilizzato anche in opere artistiche è appunto il tentativo da parte di un  autore di utilizzare immagini già esistenti e inserirle in un nuovo contesto visivo. Ora con la realtà digitale è entrata in scena la possibilità di intervenire in maniera nuova su un'immagine già esistente. Di fatto, con la traduzione numerica delle immagini, ogni tipo di immagine è sempre "aperta" ad ogni ulteriore intervento. Per esempio con il mio software Painter ho a disposizione degli strumenti che addirittura possono diluire, come  se utilizzassi un pennello, i colori di una foto e dargli così  un aspetto acquerellato, oppure estrapolare diversi parti di immagini ed assemblarle in una unica immagine e con appositi filtri trasformarla in una immagine pittorica. Il messaggio visivo è appunto diventato fluido, non è più rigido e incollato al suo supporto. Si potrebbe definire questa qualità come una fluidità compositiva.
Quando una immagine viene digitalizzata o nasce direttamente in digitale, di fatto è un immagine composta da pixel, una realtà numerica astratta da qualsiasi supporto e dunque manipolabile direttamente dal software.
La seconda qualità fluida è appunto quella descritta da Manovich, e cioè la possibilità di un immagine nata in digitale di essere adatta alla lettura su altri media senza dover essere filtrata da altri congegni, appunto una crossmedialità. Nell'era predigitale, quando un creatore di immagini imprimeva il suo elaborato su un supporto cartaceo, per essere stampato doveva essere fotografato e di fatto filtrato una prima volta  da una macchina che, anche se fedele, cambiava i parametri originali, e successivamente di nuovo veniva filtrato dal procedimento di stampa.
La stessa situazione la si può intravedere anche quando un immagine materica deve essere trasmessa in un media. Anche in questo caso la cinepresa è un filtro che rielabora l'immagine per poi poterla trasmettere e l'apparecchio televisivo a sua volta è un altro filtro interpretativo. Un immagine digitale invece già nasce adatta per ogni tipo di media digitale, la sua struttura algoritmica la dispone con lo stesso linguaggio dei media digitali. Anche in questo si può usare il concetto di  fluidità per descrivere questa caratteristica di passare da un medium ad un altro senza dovere essere reinterpretata.
Ma esistono altri parametri incorporati ad un immagine. Sono caratteristiche  dell'immagine che erano rigide e che con il progresso tecnologico sono diventate fluide.
Per esempio i primi graffiti sulle pareti delle caverne erano informazioni visive che il suo creatore lanciava alla divinità (destinatario) utilizzando la terra d'ocra per eseguirle e la parete  come supporto (medium) per fissarle nel tempo (dimensione temporale)  e averle così sempre a disposizione nei giorni successivi. Era inamovibile perchè fissata sulla parete di una caverna (dimensione spaziale).
I parametri che ho descritto in questo esempio  sono dunque diversi, vediamo quali:



       D ( destinatario)
M (medium)
S ( spazio)
t (tempo)




Parametri che all'inizio delle comunicazione umana erano rigidi e indipendenti tra di loro e con caratteristiche simili. Per esempio una volta disegnata l'immagine in un dato  spazio della caverna, la sua dimensione spaziale (S)  era fissata una volta per tutte. Anche il tempo (t) della sua potenza comunicativa era legata all'esistenza della parete della caverna o alla sua sovrapposizione con un'altra immagine. Dunque erano parametri rigidi, l'unica  eccezione era D che poteva avere una  variabile,  e dunque una caratteristica fluida, infatti  il destinatario di una immagine poteva essere singolo o plurale. Colui che eseguiva il disegno poteva avere l'intenzione di mandare il suo messaggio ad una divinità,oppure rivolgersi a tutta la tribù per recapitare un messaggio di fede. Si potrebbe rinominarlo  D(n) dove n è il numero variabile dei destinatari.
Nelle   epoche successive però con l'invenzione delle tavolette d'argilla, del papiro e successivamente della carta,  si verificò una prima grande rivoluzione tecnologica:  due parametri si sommarono tra di loro , la dimensione spaziale (S)  fu inglobata nel suo medium (S+M), con il risultato di un unico oggetto (tavoletta, rotolo, libro) che poteva spostarsi nello spazio. L'informazione visiva da fissa iniziava a camminare per lo spazio grazie a diversi vettori che generalmente coincidono con l'uomo stesso e i suoi mezzi di trasporto. Anche in questo caso da un aspetto rigido si può interpretare questo cambiamento in un aspetto fluido.
Come ho descritto nei capitoli precedenti con la comparsa delle immagini digitali anche i parametri dello Spazio e del Tempo si sono rivoluzionati e anche queste categorie il loro aspetto  rigido lo si può interpretare ora come fluido.

















venerdì 19 agosto 2011

work in progres

riprendo a editare qualche lavoro in work in progres. Ne ho già editato uno su fb, dimenticando il mio blog. provvedo con questo disegno successivo. E' un libro sul gioco del ponte di Pisa, sono una trentina di disegni, su fb ho già editato la copertina e una prima illustrazione, tutti in work progres.... questa che sto iniziando è la tavola dove devo illustrare la prima formula del gioco, un pò cruenta. Nel medio evo non stavano certo a guardare le buone maniere, la vecchia versione del gioco si chiamava Mazzascudo , un nome e un programma. Inizio con uno schizzo veloce per vedere la dinamica dell'immagine e i vari pesi grafici dei dettagli. buona visione


martedì 9 agosto 2011

spazio e struttura nelle immagini digitali

continuo la pubblicazione di alcuni stralci del prossimo saggio,.... e successivamente riprenderò i lavori in work in progress, mi sono stati fatti molti incoraggiamenti a riprenderli.





Spazio strutturale: immagini in 3D

di Giulio Peranzoni




Oltre alla perdita della casualità materica, le immagini nate in
digitale devono rinunciare ad un'altra fondamentale caratteristica,
la loro spazialità, il rapporto con le proprie dimensioni.
Un elemento comunicativo essenziale di un immagine è anche la
sua dimensione. L'emotività di una informazione visiva è veicolata
principalmente su tre binari: il contenuto dell'informazione, il suo
cromatismo e le sue dimensioni. Se le prime due sono basilari
all'informazione stessa, la terza non è di poca importanza. Nel
suono sono i decibel che danno la potenza del suono stesso, nelle
immagini è la dimensione che porta una emozione in più. La
Cappella Sistina lascia a bocca aperta e senza fiato quando la si
vede nelle sue dimensioni reali, crea ammirazione quando è
riprodotta nella dimensioni di una stampa.
Le immagini digitali hanno dunque il triste limite che oltre alle
dimensioni di un tablet o di un monitor non possono uscire. Questa
mancanza di pathos dovuto alle ridotte dimensioni, per le immagini
è un grosso problema. Forse oggi, inconsciamente, gli autori di
immagini digitali cercano il coinvolgimento spaziale del lettore
utilizzando una nuova tipologia visiva che è nata negli ultimi
decenni, e che è una tipologia totalmente digitale: il 3D!! Dalla
superficie si passa alla profondità!
Il suo successo è probabilmente dovuto anche a questa esigenza di
colmare le ridotte dimensioni spaziali delle immagini.
L'importanza della superficie di un immagine è dimostrata da un
fenomeno sociale dello scorso secolo. Con la nascita della
televisione negli anni cinquanta, di fatto le immagini entravano
(ridotte) in tutte le case e in quel periodo c'era la fondata
preoccupazione che l'industria del cinema sarebbe entrata in una
crisi irreversibile. Ma questa evenienza non successe. I due
maggiori medium di immagini hanno convissuto felicemente fino ad
oggi. Perché? Probabilmente è la forza e il fascino delle dimensioni
di un immagine su un grande schermo che ha sempre attirato in
ogni caso il grande pubblico, mentre il successo della tv è dovuto
alla comodità di averla in casa propria. In effetti bisogna riconoscere
che vedere un film come Avatar sul grande schermo e vederlo in
una tv in 3D anche se su uno schermo di 41 pollici, la differenza è
notevole.
Quello che gli autori di immagini digitali dovrebbero cercare in un
prossimo futuro è colmare questa mancanza di rapporto
dimensionale tra immagine e lettore, un coinvolgimento tra lui e la
superficie visiva e questa non può che essere nella profondità
dell'immagine. Grazie alla tecnologia del 3D la profondità di un
immagine digitale è illimitata ma è sempre vista dalla piccola
finestra di un tablet o di un video. Per avere un coinvolgimento
completo bisogna ancora aspettare che l'immagine in 3D esca dalla
sua gabbia e si posi sul vetro dello schermo come un miraggio, o
meglio ancora, che un casco virtuale trasporti il lettore all'interno
dell'immagine e cambi così la proporzione tra esso e ciò che sta
vedendo.
Il rapporto di scala tra lettore e immagine è fondamentale e nelle
nuove tipologie di disegni digitali e questa questione va affrontata.
Per risolvere il problema ci si potrebbe orientare verso tre possibili vie di
soluzione. La prima l'ho accennata precedentemente  e cioè entrare
virtualmente nell'interno dell'immagine con il 3D, la seconda è
l'estrapolazione dell'immagine dal suo contenitore e la sua possibile
proiezione, la terza è la possibilità di far cambiare in maniera
consistente le dimensioni del proprio tablet per fruire in maniera
adeguata i diversi prodotti editoriali. Un grande libro illustrato non
dovrebbe adattarsi alle dimensione del tablet, ma al contrario è il
tablet che si deve adattare alle dimensioni di ogni libro....

lunedì 8 agosto 2011

la casualità nelle immagini digitali

...continuo il capitolo precedente, buona lettura estiva....








                                          La casualità nelle immagini digitali
                
                                                                       di Giulio Peranzoni




Dopo aver analizzato il rapporto tra le immagini e le due dimensioni in cui sono immerse,
il tempo e lo spazio, cercherò di analizzare ora la loro struttura, le procedure per crearle ed
infine le nuove tipologie.

Sono molti i vantaggi nel creare un immagine in digitale in confronto a una materica e
questi li vedremo nelle pagine successive, ma prima di fare ciò c'è al contrario da
sottolineare una perdita enorme in questo passaggio epocale, ed è la perdita della
casualità che ha la materia ordinaria e che manca assolutamente nella realtà digitale.
Quando ho iniziato a disegnare con la tavoletta grafica utilizzando il software Painter, dopo
molte sensazioni piacevoli che provavo, come ad esempio, il potere tornare indietro dopo
un errore o il non preoccuparsi di una possibile degenerazione del supporto oppure la
classica macchia che cadeva accidentalmente, la prima sensazione spiacevole che ho
provato è stata quella mancanza di ispirazione che di solito avevo mentre procedevo con
l'esecuzione dell'immagine.

In effetti la casualità del comportamento della materia colorata è sempre stata un forte
stimolo a nuove soluzioni cromatiche o addirittura strutturali dell'immagine. Per esempio, la
macchia di acquerello che si espande accidentalmente su una superficie porosa e che si
fonde con un altro strato di colore ancora umido dà come risultato una nuova e
involontaria cromia non programmata e che è il risultato del caso, o meglio dell'interazione
di numerosi fattori fisici non prevedibili ma che a loro volta sono un suggerimento prezioso
all'autore nel procedere. 
Molto spesso dei fattori casuali nel rapporto tra i vari materiali che si utilizzano per creare 
un immagine (con il supporto, con il medium, nel suo piccolo anche la temperatura 
dell'ambiente circostante) creano risultati indipendenti dalla volontà
del suo creatore e che spesso sono delle piacevoli sorprese su cui cavalcare verso
nuove soluzioni.

Lo stesso procedere consapevole deve essere verificato passo per passo e se è il caso
correggerlo. Più chiaramente, se decido di colorare con un acquerello tradizionale una
parte dell'immagine con un colore arancione e nella mia mente penso a quel particolare
arancione, per poterlo ottenere ho due possibilità, o diluisco con acqua il mattoncino
solido di colore puro oppure lo costruisco con velature di giallo o rosso. Ma devo
comunque verificare "sul campo", sulla carta, che le mie scelte siano quelle giuste per
ottenere quel particolare tono che mi ero immaginato e spesso devo intervenire subito a
correggerle per arrivare allo scopo. Di fatto sono sempre costretto a confrontarmi con il
fattore casuale della materia.

In questo caso il fattore casuale consiste in quanta acqua uso per avere un arancione
leggero o un tono più sostenuto se invece procedo per velature, è la temperatura esterna
che mi potrebbe asciugare troppo in fretta la prima velatura e dunque con la fusione della
successiva non mi può dare il risultato voluto. La prova assoluta di come sia fondamentale
nei risultati la casualità, è il fatto che anche se impercettibilmente, un autore non riuscirà
mai a ripetere la stessa pennellata in maniera identica alla prima.

Al contrario nell'eseguire una immagine digitale, la casualità è completamente azzerata. È
la natura matematica del software che non la permette. Un algoritmo che simula la mia
pennellata digitale è appunto una espressione matematica che di fatto è ripetibile sempre
nella stessa maniera. Il colore che risulta sul mio monitor è una miscela di pixel che
vengono collocati la prima volta sul video seguendo la mia pressione sulla tavoletta e
utilizzando il colore che ho scelto dalla mia tavolozza virtuale. Due parametri che entrambi,
nel momento di essere eseguiti, sono simultaneamente tradotti in codice binario e
dunque ripetibili.

Ritornando all'esempio dell'acquerello, se eseguo la stessa pennellata di arancione con lo
strumento acquerello in digitale, posso essere più che sicuro che lo stesso arancione
sarà identico al precedente. Nella realtà digitale ogni interferenza casuale del mondo fisico
è esclusa. Tra le due realtà (digitale e fisica) non ci sono interferenze, sono realtà
completamente isolate.

Nella realtà digitale è solo la casualità materica che però viene esclusa. In effetti quando
utilizzo gli strumenti di disegno digitale, sono libero dalla casualità materica ma posso in
ogni caso sperimentare una nuova casualità: una casualità digitale. Anche con il computer
posso cercare un tono particolare provando molte volte a mischiare pixel, e con questi
tentativi casuali arrivare ad un risultato non programmato. La differenza tra le due
casualità è che la seconda si può ripetere all'infinito, la prima invece è unica e irripetibile.
L'aspetto rivoluzionario di tutto ciò è che la nuova casualità digitale è ripetibile, in questo
caso la casualità è stata ingabbiata dai numeri, non è più effimera e sfuggente come
prima....

venerdì 5 agosto 2011

spazio e immagini: l'annullamento delle dimensioni

Continuo ad editare il seguito della riflessione precedente. Penso che con la pausa estiva avrò più tempo per continuare sulla descrizione approfondita delle immagini digitali o meglio degli e-drawing, buona lettura.














          Spazio e immagini: l'annullamento delle dimensioni

                                                        di Giulio Peranzoni  



     Il creatore di immagini ha dunque la proprietà di rallentare il tempo e con la tecnologia
digitale anche di fermarlo e di astrarsi dal suo contenitore o supporto. Forse il fascino che
inconsciamente emana un artista è proprio questa sua capacità di fermare il flusso
temporale di un momento.

     Ora che la maggioranza delle immagini sono diventate digitali, nasce l'esigenza di
approfondire la comprensione della loro natura per capire meglio le loro potenzialità. Per
questo ho cercato di descrivere il rapporto tra tempo e immagine. Ma un altro aspetto
interessante è anche il rapporto tra immagine e spazio.
Spazio inteso nei suoi due aspetti principali: interno ed esterno. Per spazio interno mi
riferisco alle dimensioni fisiche dell'immagine, per quello esterno invece si intende la sua
collocazione immanente.
Già nella sua esecuzione, un immagine digitale annulla il rapporto con la sua dimensione.
Più in particolare la sua dimensione non è più quella lineare ma quella della sua
risoluzione.

    Un immagine, diventando digitale, cambia la sua misurazione lineare in un'altra e cioè la
sua risoluzione nello schermo in cui viene creata! Ora la sua vera dimensione è costituita
da quanti pixel per cella è costituita. Se un immagine digitale ha una alta risoluzione
teoricamente la potrei visualizzare su una grande superficie. La dimensione lineare che
imposto per iniziare ad elaborarla è presente solo alla creazione del file, nei passaggi
successivi sul mio monitor ho solo un immagine della grandezza del monitor stesso e
come un foglio elastico posso ingrandirla o diminuirla a mio piacimento. La liberazione dal
rapporto dimensionale di un immagine, per l'autore è un progresso rivoluzionario.
Dipingere una tela alta due metri per quattro o eseguirla su un video di 21pollici è un
cambiamento non indifferente. Teoricamente potrei dipingere la volta della Cappella
Sistina senza spaccarmi la schiena arrampicato su una impalcatura.
Le immagini digitali hanno ridotto le loro dimensioni ad un unica dimensione misurata in
pixel, la nuova unità di misura per le immagini!

    Per quanto riguarda la seconda tipologia spaziale, intendo lo spazio esterno
all'immagine e cioè il luogo dove posso vederla: lo spazio in cui è collocata.
Per capire questo rapporto e poterlo analizzare meglio è forse necessario descriverlo
attraverso la storia.

     Quasi tutte le immagini dell'antichità erano immagini fisse, nel senso che chi doveva
vederle era obbligato a spostarsi fisicamente. Era il lettore che si muoveva verso
l'immagine. A parte le insegne, le bandiere e le piccole immagini scolpite o incise come le
monete che si spostavano per altri motivi, prima dell'invenzione della carta o del papiro il
rapporto tra immagini e spazio era fisso e unidirezionale. L'invenzione del rotolo e
successivamente del manoscritto, ha iniziato a cambiare il rapporto tra immagine e spazio.
L'immagine ha iniziato a fare i suoi primi passi e questo rapporto è rimasto invariato per
secoli. Nel secolo precedente si è avuta una prima, enorme e radicale rivoluzione: la
scoperta delle onde radio e dell'elettromagnetismo ha portato alla astrazione delle
immagini. Il rapporto dell'immagine con lo spazio ha avuto una accelerazione incredibile.
Se con l'invenzione della fotografia e successivamente del cinema, si era verificato
"solamente" la registrazione della realtà su lastra chimica o di celluloide, per poterle
vedere in ogni caso lo spettatore doveva comunque spostarsi per andare dal fotografo o
in una sala cinematografica. Con la prima trasmissione televisiva, la situazione cambia
radicalmente, le immagini hanno acquisito la velocità della luce. Il rapporto tra spazio e
immagine ha preso ora delle caratteristiche che mai si erano viste prima. Questo spostarsi
delle immagini nello spazio, anche a grandi distanze, ha in sé però un aspetto nuovo,
l'immagine acquista ora una testimonianza di qualche cosa che esiste ma che non è qui
presente, è in un altro luogo. Una nuova proprietà fondamentale che prima non aveva:
una sua carica ontologica.

    Per carica ontologica intendo la capacità per un immagine di essere la prova di
un'esistenza. Fino a quando l'immagine ferma il tempo di un momento e questa
registrazione è fruita in quel dato luogo, l'esistenza, la prova ontologica di quel momento è
diretta. La presenza di un affresco o di una tela nel momento che la osservo, è tangibile,
presente, è lì di fronte a me. Ma quando l'informazione visiva viene trasmessa in un altro
luogo, si ha un differente rapporto con lo spazio e soprattutto nasce un nuovo rapporto
ontologico . L'immagine è l'unica prova in un altro luogo dell'esistenza di quel momento
registrato e trasmesso.

     Lo sbarco sulla luna da parte dell'uomo non avrebbe la stessa certezza se non fosse stato
provato dalle immagini smaterializzate e inviate alla velocità della luce attraverso lo
spazio.

     La prova più esplicativa di come una immagine possa avere una caratteristica ontologica è la visione di quello che abbiamo sopra la nostra testa: l'universo! Immagini di galassie ci giungono a noi attraverso lo spazio e sicuramente molte di esse non esistono più.
    La loroimmagine, essendo una fonte di luce, ha viaggiato attraverso lo spazio e il tempo per arrivare fino a noi. Ma è la loro immagine che le fa esistere per noi. La prova della loro
esistenza è legata alla loro immagine. La potenza ontologica delle loro immagini ci da la
sensazione che loro esistano ancora. Annullando il rapporto con lo spazio, le immagini
digitali acquistano dunque una particolare carica ontologica.

     Per concludere, digitalizzando le immagini non solo le smaterializzo e annullo il fattore
tempo che era insito nel loro supporto, ma cancello anche un altra dimensione che era
nelle immagini tradizionali, la loro dimensione spaziale, sia interna che esterna. Mettendo
in rete delle immagini in pratica elimino il loro rapporto con lo spazio. Una immagine
messa in rete ora e qui, simultaneamente è visibile anche dall'altra parte dell'emisfero.
    Un immagine digitale è dunque da considerarla eterna e onnipresente. In un immagine
digitale la dimensione del tempo e dello spazio vengono annullate.
Si potrebbe dire che la creazione di una immagine digitale è forse paragonabile all'impulso
luminoso di una galassia. Una volta lanciata nella rete, l'immagine immateriale sarà
presente in ogni luogo e viaggerà ancorata al tempo esistenziale della rete stessa.