venerdì 5 agosto 2011

spazio e immagini: l'annullamento delle dimensioni

Continuo ad editare il seguito della riflessione precedente. Penso che con la pausa estiva avrò più tempo per continuare sulla descrizione approfondita delle immagini digitali o meglio degli e-drawing, buona lettura.














          Spazio e immagini: l'annullamento delle dimensioni

                                                        di Giulio Peranzoni  



     Il creatore di immagini ha dunque la proprietà di rallentare il tempo e con la tecnologia
digitale anche di fermarlo e di astrarsi dal suo contenitore o supporto. Forse il fascino che
inconsciamente emana un artista è proprio questa sua capacità di fermare il flusso
temporale di un momento.

     Ora che la maggioranza delle immagini sono diventate digitali, nasce l'esigenza di
approfondire la comprensione della loro natura per capire meglio le loro potenzialità. Per
questo ho cercato di descrivere il rapporto tra tempo e immagine. Ma un altro aspetto
interessante è anche il rapporto tra immagine e spazio.
Spazio inteso nei suoi due aspetti principali: interno ed esterno. Per spazio interno mi
riferisco alle dimensioni fisiche dell'immagine, per quello esterno invece si intende la sua
collocazione immanente.
Già nella sua esecuzione, un immagine digitale annulla il rapporto con la sua dimensione.
Più in particolare la sua dimensione non è più quella lineare ma quella della sua
risoluzione.

    Un immagine, diventando digitale, cambia la sua misurazione lineare in un'altra e cioè la
sua risoluzione nello schermo in cui viene creata! Ora la sua vera dimensione è costituita
da quanti pixel per cella è costituita. Se un immagine digitale ha una alta risoluzione
teoricamente la potrei visualizzare su una grande superficie. La dimensione lineare che
imposto per iniziare ad elaborarla è presente solo alla creazione del file, nei passaggi
successivi sul mio monitor ho solo un immagine della grandezza del monitor stesso e
come un foglio elastico posso ingrandirla o diminuirla a mio piacimento. La liberazione dal
rapporto dimensionale di un immagine, per l'autore è un progresso rivoluzionario.
Dipingere una tela alta due metri per quattro o eseguirla su un video di 21pollici è un
cambiamento non indifferente. Teoricamente potrei dipingere la volta della Cappella
Sistina senza spaccarmi la schiena arrampicato su una impalcatura.
Le immagini digitali hanno ridotto le loro dimensioni ad un unica dimensione misurata in
pixel, la nuova unità di misura per le immagini!

    Per quanto riguarda la seconda tipologia spaziale, intendo lo spazio esterno
all'immagine e cioè il luogo dove posso vederla: lo spazio in cui è collocata.
Per capire questo rapporto e poterlo analizzare meglio è forse necessario descriverlo
attraverso la storia.

     Quasi tutte le immagini dell'antichità erano immagini fisse, nel senso che chi doveva
vederle era obbligato a spostarsi fisicamente. Era il lettore che si muoveva verso
l'immagine. A parte le insegne, le bandiere e le piccole immagini scolpite o incise come le
monete che si spostavano per altri motivi, prima dell'invenzione della carta o del papiro il
rapporto tra immagini e spazio era fisso e unidirezionale. L'invenzione del rotolo e
successivamente del manoscritto, ha iniziato a cambiare il rapporto tra immagine e spazio.
L'immagine ha iniziato a fare i suoi primi passi e questo rapporto è rimasto invariato per
secoli. Nel secolo precedente si è avuta una prima, enorme e radicale rivoluzione: la
scoperta delle onde radio e dell'elettromagnetismo ha portato alla astrazione delle
immagini. Il rapporto dell'immagine con lo spazio ha avuto una accelerazione incredibile.
Se con l'invenzione della fotografia e successivamente del cinema, si era verificato
"solamente" la registrazione della realtà su lastra chimica o di celluloide, per poterle
vedere in ogni caso lo spettatore doveva comunque spostarsi per andare dal fotografo o
in una sala cinematografica. Con la prima trasmissione televisiva, la situazione cambia
radicalmente, le immagini hanno acquisito la velocità della luce. Il rapporto tra spazio e
immagine ha preso ora delle caratteristiche che mai si erano viste prima. Questo spostarsi
delle immagini nello spazio, anche a grandi distanze, ha in sé però un aspetto nuovo,
l'immagine acquista ora una testimonianza di qualche cosa che esiste ma che non è qui
presente, è in un altro luogo. Una nuova proprietà fondamentale che prima non aveva:
una sua carica ontologica.

    Per carica ontologica intendo la capacità per un immagine di essere la prova di
un'esistenza. Fino a quando l'immagine ferma il tempo di un momento e questa
registrazione è fruita in quel dato luogo, l'esistenza, la prova ontologica di quel momento è
diretta. La presenza di un affresco o di una tela nel momento che la osservo, è tangibile,
presente, è lì di fronte a me. Ma quando l'informazione visiva viene trasmessa in un altro
luogo, si ha un differente rapporto con lo spazio e soprattutto nasce un nuovo rapporto
ontologico . L'immagine è l'unica prova in un altro luogo dell'esistenza di quel momento
registrato e trasmesso.

     Lo sbarco sulla luna da parte dell'uomo non avrebbe la stessa certezza se non fosse stato
provato dalle immagini smaterializzate e inviate alla velocità della luce attraverso lo
spazio.

     La prova più esplicativa di come una immagine possa avere una caratteristica ontologica è la visione di quello che abbiamo sopra la nostra testa: l'universo! Immagini di galassie ci giungono a noi attraverso lo spazio e sicuramente molte di esse non esistono più.
    La loroimmagine, essendo una fonte di luce, ha viaggiato attraverso lo spazio e il tempo per arrivare fino a noi. Ma è la loro immagine che le fa esistere per noi. La prova della loro
esistenza è legata alla loro immagine. La potenza ontologica delle loro immagini ci da la
sensazione che loro esistano ancora. Annullando il rapporto con lo spazio, le immagini
digitali acquistano dunque una particolare carica ontologica.

     Per concludere, digitalizzando le immagini non solo le smaterializzo e annullo il fattore
tempo che era insito nel loro supporto, ma cancello anche un altra dimensione che era
nelle immagini tradizionali, la loro dimensione spaziale, sia interna che esterna. Mettendo
in rete delle immagini in pratica elimino il loro rapporto con lo spazio. Una immagine
messa in rete ora e qui, simultaneamente è visibile anche dall'altra parte dell'emisfero.
    Un immagine digitale è dunque da considerarla eterna e onnipresente. In un immagine
digitale la dimensione del tempo e dello spazio vengono annullate.
Si potrebbe dire che la creazione di una immagine digitale è forse paragonabile all'impulso
luminoso di una galassia. Una volta lanciata nella rete, l'immagine immateriale sarà
presente in ogni luogo e viaggerà ancorata al tempo esistenziale della rete stessa.

sabato 30 luglio 2011

tempo e immagini: un rapporto strutturale 2

Ho rivisto il post precedente e ho pensato di aggiungere alcune cose che mi erano sfuggite oltre ad aggiungere una nuova parte,.... ora penso che sia completo. In caso di ulteriori aggiunte le editerò separatamente, buona lettura.






Tempo e immagini: un rapporto strutturale



di
Giulio Peranzoni






La realtà è un continuo fluire, come già gli antichi greci ci hanno insegnato nel loro famoso
postulato "panta rei". In effetti ogni momento della nostra realtà è differente sia da quello
precedente che da quello futuro. Un continuo rimescolarsi e ridefinirsi di aggregati di
atomi. Noi stessi non siamo gli stessi di alcuni secondi fa. Di fronte a questo continuo
cambiamento però, noi umani abbiamo inventato un mezzo per fermare il flusso temporale
ricombinante della materia in quel dato momento: sono le immagini. La fotografia, per
esempio, la si può interpretare come un fissaggio su carta dei segnali luminosi che la
materia emette in presenza di una fonte di luce in un determinato momento.


Spingendosi ancora più a fondo nella riflessione, direi che un'immagine è un rallentamento
del tempo di un fluire di agglomerati di atomi per mezzo di altri agglomerati di atomi con la
sembianza di un supporto.
Una fotografia registra un dato momento del fluire della materia su un supporto, che in
ogni caso è costituito sempre di materia che a sua volta cambia (deterioramento del
materiale). Questo suo cambiamento però è molto più lento e non in accordo con il fluire
reale, in confronto la velocità dello scorrere della realtà è molto diverso. La velocità
dell'attimo presente è fulminea, il deterioramento di una immagine fotografata è molto più
graduale.


L'uomo ha sempre cercato di fermare il tempo con le immagini, un esigenza dovuta alla
naturale paura della morte o meglio ancora la paura di non essere ricordati, di essere
"resettati". I monumenti colossali delle figure dei faraoni e di tutti i potenti della storia sono
il tentativo di fermare il loro tempo. Con un trucco, appunto, hanno cercato di sopravvivere
al loro decadimento biologico. Con le loro immagini registrate su una materia più lenta
nel cambiare e dunque nello sparire nel non essere (la pietra, il marmo, il bronzo o il
colore sulla tela), hanno provato a sconfiggere il tempo che inesorabilmente stava per
cancellarli, è l'ancestrale istinto di ogni essere vivente, l'istinto di sopravvivenza.


Con l'invenzione della macchina fotografica, la registrazione della realtà è diventata
meccanica e quindi molto più facile da ottenere. Simbolico è il popolarsi di immagini
fotografate nei cimiteri della nostra era moderna. Prima erano solo i potenti che potevano
registrare la loro immagine nel marmo o nel bronzo, ora chiunque può fermare la propria
immagine e dunque di essere ricordato prima di polverizzarsi.
Ma la differenza sottile tra una immagine che ferma un determinato momento eseguita
con una macchina e un'immagine disegnata è proprio la mente umana stessa. Una
immagine fotografata è una registrazione meccanica, una disegnata è l'interpretazione
della realtà che il cervello dell'autore elabora e che registra su un supporto grazie alla sua
capacità manuale.


Dunque la mente è un filtro della realtà percepita in quel dato momento e che nel caso
venga registrato su un supporto prende l'aspetto di una immagine.
Un' immagine disegnata è un rallentamento del tempo registrata su un supporto. Il nostro
cervello percepisce continuamente gli stimoli esterni della realtà e li traduce in impulsi
neuronali, li interpreta e li memorizza. Se un dato momento della realtà può creare
emozioni particolari, alcuni soggetti con particolari doti manuali acquisite nel tempo,
possono decidere oltre che a memorizzarli in se stessi, di registrarli su supporti fisici. È
così che nasce l'esigenza di creare un'immagine.


L'abilità di produrre immagini è iniziata appunto nel volere 'fermare' gli stimoli esterni della
realtà. Successivamente raffinando sia la mente che la tecnica di riproduzione delle
immagini, l'uomo ha anche cercato di fermare i propri pensieri 'interni', i propri sogni, la
realtà astratta della propria mente, la sua fantasia.
Ma l'aspetto più interessante di tutto questo discorso è il fattore tempo imprigionato nel
supporto usato per fermare la realtà. Fino ad oggi infatti, ogni supporto per un'immagine
usato dall'uomo per fermare, anzi per rallentare il tempo della realtà in quel dato momento,
ha, a sua volta, il destino di fluire verso il non essere, e cioè il suo degrado fisico. Tutta la
materia fisica è in continuo cambiamento, niente è immutabile, tutto scorre, appunto
"panta rei" .


Come accennavo all'inizio, creando un immagine non si ferma il tempo di quel momento
su un supporto materico ma soltanto lo si rallenta, unendolo al deperimento materiale di
quel dato supporto. Ora, con la realtà digitale, il paradigma millenario delle immagini
create dall'uomo cambia, e con esso anche il fattore del tempo incorporato ad esse.
Un immagine digitale non ha più un supporto materico unico per esprimersi e ripetere quel
dato momento. Un immagine digitale non è più ancorata alla materia ma è di fatto tradotta
in un algoritmo matematico, riproducibile in ogni momento su macchine sostituibili nel
tempo. Un algoritmo non deperisce, ha lo stesso tempo dell'esistenza dell'umanità che è in
grado di leggerlo. Forse si può azzardare a dire che finalmente il tempo della realtà
registrato in un immagine coincide ora con il tempo della esistenza dell'umanità. È un
aspetto della vecchia questione ontologica: l'esistenza dell'universo esiste grazie
all'esistenza dell'umanità che la può comprendere?


Comunque questa sua eternità è legata al suo collocamento nello spazio. In effetti
digitalizzando un immagine non solo la si libera dal tempo di deterioramento del suo
supporto e dunque dal rallentamento temporale in cui è collocata ma anche dal suo
materialismo.


Un immagine digitale ferma il tempo diventando eterna e contemporaneamente si astrae.
La produzione di un immagine digitale è il risultato di diversi passaggi che portano alla
formulazione di un algoritmo matematico in grado di riprodurla in ogni momento, in
qualunque spazio e in brevissimo tempo. L'utensile usato non è più un pennello che
utilizza materia colorata, ma quel magico oggetto (mouse, penna ottica) che traduce il
gesto del suo creatore, la sua manualità in un algoritmo. Quando la mente umana decide
di produrre un immagine digitale catturando la realtà con la propria percezione o
elaborandola all'interno dei propri neuroni (in questo caso una immagine di pura fantasia),
il suo autore utilizzando come nuovo mezzo di produzione la tecnologia digitale, traduce
direttamente i suoi stimoli mentali in un algoritmo astratto e senza tempo.
Ma la sua esistenza, anche se astratta, dipende in ogni caso dal luogo in cui si può
trovarla e ripeterla.


Il teorema di Pitagora non sarebbe giunto fino a noi e dunque conosciuto e applicato, se
non fosse stato tramandato prima oralmente, e di fatto memorizzato nelle menti umane
per diverse generazioni, e poi scritto su supporti cartacei numerose volte. Il suo aspetto
matematico permette di conoscerlo e ripeterlo come il suo autore l'ha creato la prima volta.
Non è unico come un opera d'arte, è ripetibile innumerevoli volte, ma questo è stato
possibile perché, oltre al sua natura di enunciato, è stato scritto e collocato in qualche
maniera su un supporto materico.
Anche un immagine diventando digitale ora non è più un opera unica, e una volta tradotta
in un algoritmo matematico è ripetibile ogni volta su qualsiasi dispositivo digitale. Ma,
appunto come il teorema di Pitagora, da qualche parte va copiata per poterla mettere in
funzione.


Questo ci porta al grande problema della sua collocazione e reperibilità. Un problema di
fondamentale importanza nel nuovo paradigma digitale: l'archiviazione e dunque la
reperibilità dei dati.
Fin dall'inizio dell'era dei computer uno dei grandi problemi da risolvere, oltre alla velocità
di calcolo è stato la capacità di memoria per l'archiviazione dei files. Ogni nuova
generazione di computer era caratterizzata dalla scoperta di nuovi modelli in cui la
velocità, la miniaturizzazione e la capacità di memoria era migliorata dalle versioni
precedenti. L'industria informatica ha cercato da subito di trovare soluzioni valide per
archiviare i propri risultati: floppy disk, cd-rom, cd, dvd, HD esterni, server e ultimamente il
cloud-computing, la nuova soluzione per archiviare ogni tipologia di documento digitale.
Con questa ultima soluzione si ripropone la stessa situazione dell'immagine digitalizzata e
cioè la sua smaterializzazione: anche il contenitore di immagini astratte si astrae a sua
volta. Non abbiamo più oggetti fisici, materici su cui trovare gli algoritmi che ci permettono
di ricostruire le immagini memorizzate, ma solo una abnorme nuvola di file contenuta in
remoti nodi della rete. Di fisico ci rimane una magica "finestra" (monitor, tablet, pc) su cui
affacciarsi e poter vedere (e un giorno forse entrare) i nostri elaborati.
Ma quali garanzie abbiamo che i nostri preziosi algoritmi non vengano dispersi? L'era del
digitale è appena iniziata da qualche decennio, e miliardi di immagini sono già state
editate in rete, fino a quando la capacità di memoria potrà contenerle e per quanto tempo
le potrebbe tenere? E ancora, se un immagine non viene letta per anni, è ancora presente
o un filtro censorio cancella i file che per lungo tempo non vengono attivati? E in questo
caso chi è il censore che decide quali immagini possano rimanere nella storia e quali
invece no?


Se la logica di salvare i file è la stessa dei diversi motori di ricerca, e cioè che il
documento più "cliccato" ha più visibilità, si corre il rischio di salvare nel tempo le immagini
più commerciali e popolari. Un Van Ghog digitale non avrebbe nessuna possibilità di
essere conosciuto....

mercoledì 27 luglio 2011

Tempo e immagini: un rapporto strutturale

Edito un'altra aggiunta al libro e-drawing. Mi sembra un buon spunto per uno scambio di riflessioni, chiaramente a chi può interessare e approfondire. Che ne dite?.... una buona lettura sotto l'ombrellone, a presto.


Tempo e immagini: un rapporto strutturale



La realtà è un continuo fluire, come già gli antichi greci ci hanno insegnato nel loro famoso
postulato "panta rei". E in effetti ogni momento della nostra realtà è differente sia da
quello precedente che da quello futuro. Un continuo rimescolarsi e ridefinirsi di aggregati
di atomi. Noi stessi non siamo gli stessi di alcuni secondi fa. Di fronte a questo continuo
cambiamento però, noi umani abbiamo inventato un mezzo per fermare il flusso temporale
ricombinante della materia in quel dato momento: sono le immagini. La fotografia, per
esempio, la si può interpretare come un fissaggio su carta dei segnali luminosi che la
materia emette in presenza di una fonte di luce.

Spingendosi ancora più a fondo nella riflessione, direi che un'immagine è un rallentamento
del tempo di un fluire di agglomerati di atomi per mezzo di altri atomi su un supporto.
Una fotografia registra un dato momento del fluire della materia su un supporto, che in
ogni caso è costituito sempre di materia che a sua volta cambia (deterioramento del
materiale). Questo suo cambiamento però è molto più lento e non in accordo con il fluire
reale, in confronto la velocità dello scorrere della realtà è molto diverso. La velocità
dell'attimo presente è fulminea, il deterioramento di una immagine fotografata è molto più
graduale.

L'uomo ha sempre cercato di fermare il tempo con le immagini, un esigenza dovuta alla
naturale paura della morte o meglio ancora la paura di non essere ricordati, di essere
"resettati". I monumenti colossali delle figure dei faraoni e di tutti i potenti della storia sono
il tentativo di fermare il loro tempo con un trucco, appunto, con le loro immagini registrate
su una materia più lenta nel cambiare e dunque nello sparire nel non essere (la pietra, il
marmo, il bronzo o il colore sulla tela).
Ma la differenza sottile tra una immagine che ferma un determinato momento eseguita
con una macchina e un'immagine disegnata è proprio la mente umana stessa. Una
immagine fotografata è una registrazione meccanica, una disegnata è l'interpretazione
della realtà che il cervello dell'autore elabora e che registra su un supporto grazie alla sua
capacità manuale.

Dunque la mente è un filtro della realtà percepita in quel dato momento e che nel caso
venga registrato su un supporto prende l'aspetto di una immagine.
Un immagine disegnata è un rallentamento del tempo registrata su un supporto. Il nostro
cervello percepisce continuamente gli stimoli esterni della realtà e li traduce in impulsi
neuronali, li interpreta e li memorizza. Ad alcuni soggetti con particolari doti manuali
acquisite nel tempo, se quel dato momento della realtà crea emozioni particolari, essi
possono decidere oltre che a memorizzarli in se stessi, di registrarli su supporti fisici. È
così che nasce l'esigenza di creare un'immagine.
L'abilità di produrre immagini è iniziata appunto nel volere 'fermare' gli stimoli esterni della
realtà. Successivamente raffinando sia la mente che la tecnica di riproduzione delle
immagini, l'uomo ha anche cercato di fermare i propri pensieri 'interni', i propri sogni, la
realtà astratta della propria mente, la sua fantasia.

Ma l'aspetto più interessante di tutto questo discorso è il fattore tempo imprigionato nel
supporto usato per fermare la realtà. Fino ad oggi infatti, ogni supporto per un'immagine
usato dall'uomo per fermare, anzi per rallentare il tempo della realtà in quel dato momento,
ha, a sua volta, il destino di fluire verso il non essere, e cioè il suo degrado fisico. Tutta la
materia fisica è in continuo cambiamento, niente è immutabile, tutto scorre, appunto
"panta rei" . Come accennavo all'inizio, creando un immagine non si ferma il tempo di
quel momento su un supporto materico ma soltanto lo si rallenta, unendolo al
deperimento materiale di quel dato supporto. Ora, con la realtà digitale, il paradigma
millenario delle immagini create dall'uomo cambia, e con esso anche il fattore del tempo
incorporato ad esse.

Un immagine digitale non ha più un supporto materico unico per esprimersi e ripetere quel
dato momento. Un immagine digitale non è più ancorata alla materia ma è di fatto tradotta
in un algoritmo matematico, riproducibile in ogni momento su macchine sostituibili nel
tempo. Un algoritmo non deperisce, ha lo stesso tempo dell'esistenza dell'umanità che è in
grado di leggerlo. Forse si può azzardare a dire che finalmente il tempo della realtà
registrato in un immagine coincide ora con il tempo della esistenza dell'umanità.

lunedì 4 luglio 2011

E-marxismo: sviluppo del conflitto di classe nelle società informazionali


E-marxismo: sviluppo del conflitto di classe nelle società informazionali


Diseguaglianze sociali informatiche e e-inclusion

Le diseguaglianze sociali nella società informatica si formano con lo stesso meccanismo delle differenze sociali dell'era industriale, soprattutto nel sistema capitalistico, e cioè la possibilità economica a disposizione per potere accedere alla formazione e al sapere.
Secondo Sara Bentivegna nel suo saggio "diseguaglianze sociali" : ....appare chiaro, infatti, che considerare la diffusione e l'appropriazione di Internet come un problema che ha una sua soluzione <naturale>, affidata ai meccanismi del mercato, implica una politica di non intervento; per converso, ritenere che il problema sia di natura strutturale e che riproduca, amplificandoli, vecchi meccanismi di esclusione sociale, implica  una politica di intervento." tradotto nella visione politica tradizionale ed ideologica per quelli di sinistra le diseguaglianze di accesso a internet ricalcano quelle sociali e dunque è con un intervento dello stato che  si devono  cercare di eliminarle. Per quelli di destra è la legge del mercato e le diverse abilità individuali che creano l'esclusione e dunque nessun intervento può risolverle.  Per il creatore di immagini è fondamentale conoscere l'aspetto tecnologico di come produrre il suo prodotto ma è anche importante conoscere l'aspetto economico-sociale  e il nuovo mercato in cui si  colloca.
Nel suo fondamentale saggio " la nascita della società in rete"  Manuel Castells,  sottolinea in maniera chiara "..... Nel nuovo modo di sviluppo, quello informazionale, la fonte di produttività risiede nella tecnologia del sapere, dell'elaborazione delle informazioni  e della comunicazione simbolica...." e in questa ultima categoria sono da inserire in maniera preponderante le immagini. Soprattutto in relazione nelle conclusioni del saggio "....Poiché l'informazionalismo è fondato sulla tecnologia della conoscenza e dell'informazione, nel modo di sviluppo informazionale esiste un legame molto stretto tra cultura e forze produttive, tra spirito e materia. Ne consegue che dovremmo aspettarci la nascita di forme storicamente nuove di interazione sociale, controllo sociale e mutamento sociale." e a questo punto io aggiungerei anche la nascita di classi sociali informazionali, dove i singoli individui saranno distinti dal loro device tecnologico. In breve potrebbe nascere un nuovo e-marxismo nel cui paradigma si riprodurrebbero gli stessi meccanismi di quello precedente. In questo caso la produzione non è più di merci ma di informazioni, l'energia che muove la nuova industria è la tecnologia, e in conclusione siamo di fronte, come dice            

Merce e valore nella società informazionale

Pubblico altri stralci di integrazione al mio libro per una piacevole lettura estiva (spero).... ogni commento è ben accetto:


Merce e valore nella società informazionale

Prendendo spunto sempre da Manuel Castells: "..... Oltre a generare nuovi prodotti, le rivoluzioni tecnologiche sono orientate al processo. A differenza di qualsiasi altra rivoluzione, però, il nucleo della trasformazione che la società sta vivendo con la rivoluzione attuale riguarda le tecnologie di elaborazione e comunicazione delle informazioni. La tecnologia della informazione sta a questa rivoluzione come le nuovi fonti di energia stavano alle rivoluzioni industriali che si sono susseguite, dalla macchina a vapore all'elettricità, ai combustibili fossili e persino all'energia nucleare, in quanto la generazione e la distribuzione dell'energia sono state l'elemento chiave alla base della società industriale."
 Seguendo questo ragionamento è quasi obbligatorio arrivare alla conclusione che l'energia che muove la nuova società informazionale è appunto l'informazione. Il creatore di immagini, in una società di questo tipo, diventa un attore principale perché creando dal nulla informazione visiva, mette in circolo il valore principale, l'energia che fa funzionare tutta quanta l'industria informazionale.
La nuova società digitale si può dividere in tre principali settori: la produzione dell'informazione, la sua elaborazione, e la sua distribuzione. Gli ultimi  due però dipendono in maniera assoluta dal primo e cioè dalla produzione di informazione pura.
Usando una metafora, il creatore di immagini potrebbe essere paragonato ad un giacimento grezzo di petrolio da cui si estrae la fonte di energia primaria per fare funzionare i mezzi di produzione che sostengono tutta la società industriale.
Ma perchè le immagini di un creativo possano circolare e diventare così valore e merce in una società informazionale,   devono essere raffinate, esattamente come il greggio in una società industriale per far funzionare i mezzi di produzione deve essere trasformato in benzina.  
Voglio dire che per un creatore di immagini non basta elaborare dalla sua mente un immagine, ma questa deve essere compatibile sia con i mezzi di elaborazione che la società digitale mette a disposizione e di conseguenza sia con la possibilità di poterla distribuire.
Il creatore di immagini è dunque paragonabile ad un giacimento di fonte energetica grezza, può essere di ottima qualità oppure di qualità scadente ma in ogni caso per "girare" negli ingranaggi della nuova società informazionale deve essere raffinata in benzina. Cioè in parole povere  perché una informazione visiva possa diventare un valore è necessario prima di tutto che sia espressa nel codice digitale e dunque nel linguaggio binario che è la madre lingua di tutta la società informazionale. In secondo luogo più l'immagine sfrutta le possibilità che l'elaborazione digitale le mette a disposizione più la sua raffinatezza aggiunge valore e dunque ricchezza economica.
In pratica, se io creatore di immagini eseguo una informazione visiva (un disegno) su carta tradizionale, è chiaro che per poterla veicolare in un ambiente digitale è necessario scansirla, tradurla cioè in digitale, per poterla vendere e in ogni caso la sua risoluzione è molto diversa da una immagine nativa digitale. Tra quest'ultima e la prima ha più possibilità di essere presa in considerazione quella nata già in digitale e dunque con più valore. Se poi l'immagine è elaborata in 3D o è dinamica  ha ancora più possibilità di essere piazzata su molte piattaforme digitali. Insomma, più l'immagine è raffinata più ha richiesta di utilizzo, più acquista valore.  

martedì 7 giugno 2011

Immagini dinamiche strutturali

... il tema che ho iniziato ieri sul cloud computing è molto vasto e necessita di attenta riflessione, mi ero promesso di continuare il discorso in vari interventi ma ho bisogno di tempo per documentarmi meglio sul tema, soprattutto sul "digital divide" e i suoi nuovi aspetti, nel frattempo edito un interessante appunto di qualche giorno fa.... che farà parte del testo definitivo del nuovo saggio, buona lettura





Immagini dinamiche strutturali


Nel mio breve saggio e-drawing utilizzo questo termine per distinguere i disegni nativi in digitale ma destinati ad un supporto cartaceo dai disegni digitali per medium digitali, e mettevo in evidenza la loro  caratteristica principale che consisteva nella loro dinamicità.
Nel mio libro scrivevo .... 'Grazie ad un supporto dinamico come i nuovi device, le immagini non sono più necessariamente statiche ma possono muoversi e possono avere un rapporto interattivo con il lettore.'
Quello che invece voglio ora sottolineare è che oltre ad un dinamismo di lettura, gli e-drawing posseggono anche un dinamismo strutturale. Un dinamismo strutturale consiste nella possibilità di leggere le parti intermedie di una informazione. Prendiamo come esempio una tipica informazione trasmessa con un codice analogico: un testo scritto. In questo caso la lettura dell'informazione parte dalla prima parola e si sviluppa gradualmente nelle diverse frasi scritte su righe fino alla fine del messaggio. La sua lettura è analogica per il fatto che si estende linearmente in orizzontale  con la caratteristica che il lettore può benissimo in ogni momento rileggere ogni passaggio intermedio prima della sua conclusione.
Una informazione visiva tradizionale invece non è analogica, è sintetica. Un immagine svela la sua informazione immediatamente! il codice visivo è istantaneo, non ha bisogno del tempo per essere assimilato. Per comprendere il messaggio finale di un testo scritto, devo leggere parola per parola fino alla fine del testo,  l'immagine al contrario  è istantanea, per  il mio cervello  che elabora il suo pensiero con  concetti visivi, apprendere una informazione visiva è molto più semplice che leggere un codice come la scrittura. Ma il prezzo da pagare per  una sintesi così immediata è la perdita di tutti i passaggi intermedi con cui la si è costruita. Da un immagine definitiva non puoi più ricostruire come è stata strutturata.
La procedura di norma per eseguire una immagine di solito è una esecuzione di uno schizzo o un progetto sintetico di linee su cui costruire l'immagine, una successiva fase di rifinitura, una stesura di colore con successivi interventi. Ogni passaggio si sovrappone a quello precedente e che di fatto lo cancella, fino ad arrivare ad una immagine definitiva che però ha azzerato le fasi precedenti. Insomma, a differenza di un testo scritto il cui messaggio finale lo posso sempre riavvolgere e vedere come è strutturato, con un immagine cartacea tradizionale questa possibilità non c'è.
Al contrario, con una immagine digitale posso tranquillamente ritornare ai vari passaggi precedenti, sia leggendoli nella memoria del computer dove sono stati elaborati, sia nella possibilità di editarli insieme alla immagine finale in una specie di work in progres e vedere così la loro struttura. Appunto una struttura dinamica. Nel mio blog recentemente ho pubblicato dei disegni in work in progres per far vedere con degli esempi concreti il loro dinamismo strutturale..... (continua)


lunedì 6 giugno 2011

il cloud computing e i miei dubbi

Continuo a pubblicare riflessioni sparse che però saranno poi ricucite in un testo più organico con la speranza di organizzare un nuovo breve saggio sulle immagini digitali. Per ora è il primo pezzo, buona lettura



Cloud computing e il rischio di un nuovo colonialismo culturale.


Steve Jobs ha lanciato il nuovo prodotto della Apple: Icloud! Non è proprio una sua idea originale ma segue la tendenza di questi ultimi mesi, e cioè il cloud computing. È da qualche tempo che i grossi big della società virtuale (google, amazon, Windows, facebook)  puntano molto su questa nuova procedura per salvare e archiviare ogni tipo di informazione digitale. Le grandi società, industrie, professionisti che utilizzano i loro dati in digitale hanno scoperto che metterli in rete corrono meno rischi di perderle che archiviarle sul proprio computer. Non mi dilungo sulla procedura del cloud, esistono ormai molti articoli dove viene spiegato nei minimi dettagli il meccanismo di questo nuovo modo di archiviare, ma vorrei riflettere sui rischi sociologici che questa nuova tendenza porta con s'è.
Con questa riflessione vorrei anche iniziare una più larga descrizione sulla struttura sociologica con cui la rete e in generale tutta la realtà digitale si sta evolvendo.
Il primo concetto fondamentale per capire la nuova realtà che si sta definendo è individuare l'oggetto o meglio ancora il valore su cui si basa questa nuova società. Per capire la realtà in cui viveva, Marx era partito dal concetto di merce e del suo valore per poi individuarne i mezzi di produzione e i soggetti che partecipavano alla produzione e all’ utilizzo di questi mezzi: le diverse classi sociali. Seguendo un ragionamento simile ma molto più elementare potremmo cercare di individuare la struttura di questa nuova realtà sociale (società digitale) che sta nascendo e che potrebbe essere considerata l'evolversi della precedente. Mi sembra che il mattone fondamentale di tutta la realtà digitale e anche la sua unica merce di scambio è l'informazione. Tutta la realtà digitale, il suo formarsi, il suo sviluppo e la sua ricchezza è basata sulla capacità di produrre e veicolare informazioni. L'industria informatica non produce nessuna merce fisica, a parte l'hardware con cui si esprime il suo valore è solo la sua capacità a produrre, manipolare e veicolare ogni tipo di informazione in un unico codice. L'esistenza della società industriale è basata sulla produzione e scambio delle merci, la società informatica è basata sulla produzione e scambio delle informazioni che tradotto in maniera pratica vuol dire il sapere dell'uomo, il suo know how.